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L’eredità di Alcide De Gasperi
vive, dopo 70 anni, in tutti
gli italiani che gli devono
Democrazia e Libertà

Il presidente Alfano in visita al JFC di Napoli

Angelino Alfano in visita alla Base NATO JFC Naples

Oggi il presidente della Fondazione Angelino Alfano e Paolo Alli, membtri del Consiglio, hanno visitato l’Allied Joint Force Command Naples. Una mattinata dedicata a discutere dei temi di stringente attualità geopolitica, uno dei tre settori strategici per la Fondazione De Gasperi.

A riceverli il Generale Ignazio Gamba, Capo di Stato Maggiore del JFC Naples.

Lorenzo Ornaghi presidente del Museo Da Vinci

Lorenzo Ornaghi, guida del nostro Comitato Scientifico, è stato nominato Presidente del Museo “Leonardo da Vinci” di Milano. Un riconoscimento importante per il quale ci congratuliamo con il professore che dimostra l’alto profilo degli uomini e delle donne che animano la Fondazione De Gasperi.

Siamo certi che il prof. Ornaghi saprà portare la sua competenza, la sua preparazione e il garbo che lo hanno sempre distinto anche nel cuore di uno dei più importanti musei della scienza e della tecnica d’Europa.

Chi produce Fake news?

Prosegue la campagna di disseminazione informativa sulle Fake news della Fondazione De Gasperi, realizzata con la collaborazione del Centro Studi Internazionale. Chi le produce disinformazione? cciamo con un video realizzato da Salvatore Mangano, parte attiva del gruppo di Opinio Lab – Geopolitica di EUPEOPLE.

La campagna è frutto della collaborazione con il Centro Studi Internazionale e fa parte del progetto Young voices against disinformation, promosso dalla Public Diplomacy Division NATO.

https://youtu.be/_4QZ_3NEfRw

Voi saperne di più? Scorri le slide qui sotto!

Cosa sono le Fake news?

Comincia oggi la nostra campagna di disseminazione informativa sulle Fake news e su quanto possano essere pericolose per la nostra sicurezza. Lo facciamo con un video realizzato da Salvatore Mangano, parte attiva del gruppo di Opinio Lab – Geopolitica di EUPEOPLE.

La campagna è frutto della collaborazione con il Centro Studi Internazionale e fa parte del progetto Young voices against disinformation, promosso dalla Public Diplomacy Division NATO.

https://youtu.be/5J_JKW15DQ4

Voi saperne di più? Scorri le slide qui sotto!

Maria Romana De Gasperi: “Papà dal carcere mi chiese di pregare la Madonna per lui”

di Corrado Occhipinti Confalonieri, pubblicato su “Maria con Te” – Dicembre 2020

 

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In occasione dell’uscita del libro di Alcide De Gasperi (1881-1954) “La vita di Gesù narrata alla figlia Maria Romana” (Morcelliana, 2020) abbiamo incontrato l’erede dello statista democristiano per conoscere un aspetto poco noto del padre: la profonda devozione verso la Madonna.

De Gasperi e la moglie Francesca avvicinarono alla fede le quattro figlie, la secondogenita Lucia divenne suora. Maria Romana (classe 1924), dalla memoria lucidissima, è dotata anche di uno spirito arguto. Nello scrivere la prima biografa del padre, non citò i nomi dei politici ma solo la carica ricoperta per ricordare un insegnamento ricevuto da lui: il politico è al servizio dello Stato, quando termina l’incarico, torna a essere un semplice cittadino.

«La mamma mi aveva detto che era in viaggio di lavoro, invece era stato imprigionato dai fascisti. Portava sempre con sé un’effigie della Vergine dentro una piccola custodia d’argento. Nel 1946, prima di parlare con i rappresentanti dei Paesi alleati a Parigi, entrò in Nôtre-Dame e invocò Maria. I nostri pellegrinaggi al santuario di Pinè e il libro nato dall’album che mi preparò per il Natale del 1927»

 

In che epoca suo padre Alcide le realizzò l’album sulla vita di Gesù?

“Nel 1927 mio padre si trovava a Roma in prigione per le sue idee antifasciste e non mi poteva regalare nulla per il Santo Natale. Non si sa come, gli capitò fra le mani una copia del National Geographic dei primi del ’900 che conteneva un reportage su Nazaret. Decise allora di ritagliare le fotografe e di spiegarmi la vita di Gesù con delle didascalie a commento delle immagini. All’epoca avevo solo quattro anni e non capivo le parole: me le leggeva mamma Francesca”.

Per quale motivo le fece un regalo così “da grande”?

“Lui voleva darmi la possibilità d’immaginare Gesù. Il libro contiene le foto dei luoghi in cui Cristo abitò con Maria e Giuseppe, vediamo i pastori, le pecore, ma non c’è nessuna immagine del Redentore. Siamo abituati a immaginare Gesù biondo, vestito di bianco, in realtà con questo album tutti lo possiamo immaginare come lo abbiamo nel cuore, magari con la pelle scura, con addosso abiti grigi o marroni. Per mio padre Alcide l’importante era la semplicità nel raccontare solo cose vere fino a quando da grande le avrei potute vedere e valutare”.

Come fece Francesco d’Assisi nel presepe di Greccio: non volle figuranti, ma solo il bue e l’asino e una mangiatoia vuota perché diceva che il presepe è custodito nel cuore di ciascuno di noi. Qual è l’immagine del libro cui è più affezionata?

“Senz’altro quella della fontana: quando venne scattata la foto era l’unica presente a Nazaret, così come lo era all’epoca di Maria. Mi emoziona immaginare la Vergine che tenendo per mano Gesù bambino, si reca a prendere l’acqua da quella sorgente”.

Suo padre amava la Madre Celeste?

“Si era affidato a lei, dalla prigione mi scriveva: “Mia cara Pupi, sii brava e prega tanto la Madonna per il tuo povero papà”. Io non sapevo che fosse incarcerato, mia mamma mi aveva detto che era in viaggio per lavoro. Terminata la prigionia, portava sempre me e le mie sorelle Lucia, Cecilia e Paola in pellegrinaggio dalla Madonna di Pinè».

Dove si trova questo santuario?

“Sorge in un bosco della media Valsugana, qui dal 1729 per cinque volte la Vergine apparve a una pastorella, Domenica Targa”.

Suo padre Alcide era legato a un’immagine in particolare della Madonna?

“Sì, teneva sempre con sé un piccolo portadocumenti argentato con all’interno l’immagine della Vergine. Ricordo che quando cambiava abito lo trasferiva subito di tasca, non usciva mai di casa senza”.

Recitavate con vostro padre il Rosario?

“Ricordo che lo facevamo per Pasqua, poi pregava per conto suo”.

Che cosa provava verso la Vergine?

“Si rivolgeva a lei quotidianamente, anche nei momenti difficili. Quando il 10 agosto 1946 si recò alla Conferenza di Parigi per tenere davanti agli alleati vincitori della guerra il discorso a sostegno della causa italiana, prima dell’incontro entrò nella basilica di Nôtre-Dame a pregare la Vergine. All’uscita mi disse: “Ecco, ora mi sento più tranquillo”. Quel giorno c’era freddezza da parte degli alleati. Al termine del suo intervento, solo il rappresentante americano gli strinse lamano, ma da quel gesto mio padre capì che era l’inizio della rinascita per la nostra Patria”.

Suo padre era devoto a un santuario mariano in particolare?

“A quello della Vergine di Loreto. Il 29 febbraio 1948, alla vigilia dell’importante tornata elettorale del 18 aprile di quell’anno, si recò da lei”.

Ricorda quel giorno?

“Mio padre proveniva da Ancona, aveva tenuto un importante discorso davanti a 80 mila persone. Giunto a Loreto in auto, entrò in Santa Casa, si mise in ginocchio e si raccolse in preghiera. Dopo aver visitato la basilica, uscì sul sagrato. Ad attenderlo c’erano migliaia di persone e improvvisò un discorso. Ad aprile vinse le elezioni: quando seppe della vittoria, commentò: “Mi aspettavo una pioggia di voti, non una grandinata”. Il trionfo delle forze democratiche contro quelle di ispirazione totalitaria garantì a mio padre quel consenso necessario che portò poi al boom economico”.

Anche sua madre Francesca era devota alla Madonna di Loreto?

“Sì, ormai vedova, il 24 maggio 1959 visitò il santuario in occasione del convegno “Le lavoratrici della Santa Casa”: io non potei parteciparvi perché impegnata con i miei due figli ancora piccoli”.

 

La famiglia: un nuovo protagonismo?

Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo stanziamento in legge di bilancio per l’assegno unico e universale previsto dal Family Act.

di Francesco De Santis

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La famiglia è ormai vittima di una delle più gravi crisi economiche vissute dal sistema capitalistico (non solo in Europa) nel secondo dopoguerra. Il comportamento “dell’attore famiglia” risente, al giorno d’oggi, dell’influenza di diversi fattoritra cui, sicuramente, quello economico. Il nesso fra economia e famiglia, d’altronde, si rinviene già nel corpo della parola economia, unione di “òikos”, che significa casa, e “nomos”, che sta a significare la parola legge.

Si può affermare, difatti, che già all’interno del nucleo familiare vengono a sussistere determinati “fattori economici”, fondamentali per la vita in comunione. Basti pensare non solamente al ruolo giocato dal risparmio ma anche dal ruolo giocato dalla produzione e dal guadagno, oltre alla formazione vera e propria del bambino nella tabella dei “valori” da portare avanti nel corso della propria esistenza. In questo anche la perdita di influenza del Cristianesimo sulla nostra cultura e sulla nostra civiltà, come ricordato da Benedetto XVI nel suo “Caritas in veritate”, ci ricorda come i difetti dei mercati spersonalizzati hanno riunificato il mondo intero in un villaggio globale senza renderci davvero fratelli.

La salvaguardia della famiglia ha assunto, con il trascorrere del tempo, un’importanza assai elevata nel dibattito pubblico e nei tavoli di concertazione fra i diversi attori presenti sulla scena socio-politica-economia.

Famiglia che, però, non può essere analizzatacome un soggetto dalla mera razionalità “economicista”. Difatti, il ruolo giocato dalla famiglia, basato su un’interpretazione multidimensionale e interdisciplinare, venne già ben interpretato dalle parole di J. Stuart Mill, secondo il quale:

“La formazione morale dell’umanità non avrà ancora sviluppato tutto il suo potenziale, finché non saremo capaci di vivere nella famiglia con le stesse regole morali che governano la comunità politica.”

La famiglia pur rimanendo un soggetto forte è, infatti, un “progetto” che, seppur al centro delle volontà dei singoli individui, si trova, oggi, dinanzi alla necessità di emergere con forza per consentire uno sviluppo maggiormente armonioso dell’intera società. Abbattere le disuguaglianze sociali è un compito che deve essere perseguito e, attraverso l’analisi delle politiche messe in atto, un nuovo paradigma per il concetto di “famiglia” è diventato auspicabile. La riforma dei congedi parentali, ad esempio, se troverà effettiva attuazione, riporterà al centro della discussione un elemento dall’indubbio valore: il ruolo della “madre-lavoratrice”. Come non ricordare, in questo, il bellissimo esempio di Martina Camuffo, assunta a tempo indeterminato “nonostante” incinta? La parità di genere deve essere foriera di nuove possibilità di convivenza, in quanto armonizzare i tempi della vita familiare e della vita lavorativa può incentivare il rientro al lavoro delle donne dopo la maternità e una maggiore serenità per tutti i “protagonisti” del “mondo famiglia”.

Dal punto di vista demografico è interessante notarecome il paragone tra i dati italiani e la media europea sia impietoso. Mentre il tasso di natalità nel nostro paese si attesta all’1.29, nel resto del continente lo stesso indicesi attesta ad un valore pari a 1,59. Questo dato, indicativo senz’altro di un progressivo sviluppo (in senso negativo) della famiglia nel lungo periodo, ha trovato ampia descrizione nel “Family Act”, la misura del Governo Italiano che intende porre un freno non soltanto alla crisi demografica ma anche consentire unprogressivo ripensamento delle abitudini di vita all’interno degli stessi nuclei familiari.Il “Family Act”, che ha trovato approvazione alla Camera il 21/07/2020 e poi lo stanziamento in Legge di Bilancioper l’assegno unico e universale a partire dal 1/07/2021, è una passo in avanti senz’altro importante che va incontro, soprattutto, alle nuove generazioni e a chi, non senza fatica, culla il sogno della famiglia.

Ma in che misura l’intervento del governo si sostanzierà per armonizzare i livelli di benessere e regalare una maggior possibilità di “investire” nella famiglia? Dai 5 punti presenti nel Family ACT (assegno universale calibrato sul reddito per figli under 18; Riforma dei congedi parentali; Sostegno alle spese educative; Incentivi al lavoro femminile; Protagonismo dei giovani under 35) appare chiaro, infatti, come il Ddl, composto da 8 articoli, si pone l’ambizioso obiettivo di intervenire in un ambito, quello della famiglia, che non può più essere tralasciato. Ad ogni modo il “Family Act” andrà valutato all’interno del complesso sistema burocratico italiano. Come, ad esempio, si concilierà con le riforme previdenziali? Inoltre, i singoli decreti attuativi dell’assegno unico e universale si concilieranno con l’equità orizzontale e verticale previste dall’art. 53 della Costituzione? L’assegno sarà progressivo, come sembra, o ci saranno, in corso d’opera, alcune correzioni prendendo spunto da altri paesi Europei in è uguale per tutti?

In questo le somme da stanziare possono giocare un ruolo fondamentale. Difatti, essendo il Family Act finanziato in parte con la soppressione di misure già esistenti (vedi bonus bebè), i fondi del “Recovery Fund” potrebbero liberare risorse e convergere sull’assegno.

È necessariosostenere un cambiamento nella divisione delle responsabilità di cura, mirando a introdurre maggiore uguaglianza di genere nella famiglia, facendo sì che i ruoli familiari non siano più subordinati l’uno all’altro ma siano complementari.

Il futuro della famiglia potrà essere roseo solo se sicomprenderà, fino in fondo, che la famiglia è davvero un “soggetto” multidimensionale, e che per la sua comprensione occorre mettersi dinanzi alla sfida della complessità.

EUPEOPLE, la nuova Scuola di Politica della Fondazione De Gasperi

“Ci sono molti che nella politica fanno solo una piccola escursione, come dilettanti, ed altri che la considerano e tale è per loro, come un accessorio di secondarissima importanza. Ma per me, fin da ragazzo, era la mia carriera, la mia missione”. Con queste parole Alcide De Gasperi descriveva il suo rapporto con la politica, andando al cuore di un’esperienza che l’ha coinvolto anima e corpo lungo tutta la sua vita.

La Fondazione a lui intitolata organizza una scuola di politica per tutti quei giovani che sentono bruciare dentro loro il fuoco per un impegno civile, affinché possano avere sempre davanti agli occhi l’esempio luminoso di De Gasperi.

Vogliamo formare una nuova generazione di uomini e donne che sappiano non tirarsi indietro rispetto al compito che la Storia chiede loro e che riescano a essere punti di riferimento per tutti coloro che si riconoscono nei valori degasperiani.

Per questo abbiamo intitolato la nostra scuola EU PEOPLE, per richiamare l’orizzonte necessario dell’Europa unita secondo il sogno autentico dei padri fondatori e la dimensione del popolarismo come perimetro culturale dentro cui muovere la nostra azione

 

Visita il sito www.eupeople.it

Blangiardo (Istat): “Con il Covid nascite ai nuovi minimi. Scenderemo sotto 400 mila, il welfare deve cambiare”

Riportiamo l’intervista di Federico Fubini pubblicata sul Corriere della Sera / L’Economia a Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat e membro del comitato scientifico della Fondazione De Gasperi. 

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Gian Carlo Blangiardo, 71 anni, demografo, presidente dell’Istat dal 2019, ha notato una stranezza: nove mesi dopo l’arrivo della nube tossica di Chernobyl, nel maggio del 1986, la natalità in Italia è calata (temporaneamente) del 10% rispetto alla norma di quel periodo. Gli italiani avevano reagito all’incertezza e alla paura rinviando le scelte di procreazione.

Presidente, il Covid innescherà lo stesso effetto, magari moltiplicandolo?

«In Italia abbiamo una tendenza che dura dal 2009, con un calo di circa un quarto delle nascite da allora. Già gennaio 2020, prima della pandemia, ha un calo dell’1,5% rispetto a un anno prima. Vedremo dai dati di dicembre quanto la paura avrà inciso, a partire da marzo. Contano anche l’incertezza sul lavoro e le difficoltà della vita quotidiana, che inducono le persone a posticipare il momento di avere un figlio fin quando magari diventa tardi. Fare previsioni è difficile, ma temo che nel 2021 potremmo scendere sotto le 400 mila nascite».

Erano più di un milione nel 1964, 576 mila nel 2008.

«Da notare che il declino riguarda anche la popolazione straniera. L’immigrazione oggi porta 62 mila nati all’anno, dopo essere arrivata a 80 mila. Ma aldilà dei fattori congiunturali — la crisi, la pandemia — in Italia c’è soprattutto un effetto strutturale, perché si sta riducendo il numero di persone in età feconda. I nati all’apice del baby boom oggi hanno 56 anni. Le generazioni in età riproduttiva saranno sempre più ristrette».

Come reagire?

«Dobbiamo rendere compatibili lavoro e maternità, con un maggiore coinvolgimento dei padri».

Più congedi di paternità?

«C’è anche un aspetto culturale. Ci siamo sempre illusi che dovesse essere lo Stato a risolvere il problema con un bonus, un aiuto, una legge. Invece occorre coinvolgere su questa vera e propria emergenza anche altri attori: il non profit o le imprese, che possono offrire ai dipendenti il servizio di asilo nido. Non è paternalismo, è un investimento. Stiamo prendendo coscienza del problema solo ora, iniziamo a capire che se non facciamo niente la questione diventa veramente problematica per il welfare».

Che intende dire?

«Oggi abbiamo 33 ultrasessantacinquenni ogni cento soggetti in età attiva. Tra trenta o quarant’anni questo numero raddoppia, dunque raddoppia anche la fetta delle pensioni in proporzione al prodotto interno lordo. A quel punto o raddoppiamo la torta, ma sappiamo che non è così semplice…»

Oppure non ci saranno soldi per scuola o sanità?

«…oppure dovremmo tagliare altre cose, è inevitabile. Questa è la guerra tra poveri che sarebbe bene evitare. Ormai c’è una certa consapevolezza del problema. Ma anche resistenza nel prendersi la responsabilità di fare qualcosa per risolverlo».

Il Covid sta rovesciando il paradigma per cui in Italia la speranza di vita migliora più a Nord che a Sud?

«Senz’altro c’è una fortissima variabilità nei territori. A Roma o a Agrigento la mortalità quest’anno scende rispetto al 2019, mentre per Bergamo o per la Val d’Aosta naturalmente è vero l’opposto. Certo la speranza di vita riflette sempre i dati più recenti, ma è solo una proiezione statistica. Detto questo, l’effetto Covid dovrebbe produrre certo un numero di decessi drammatico, ma non enorme nel confronto storico. Non sono i 600 mila morti della febbre spagnola, per capirci».

Che cifre ha in mente?
«Abbiamo fatto delle simulazioni, immaginando diversi scenari. Si va dai 40 mila morti in più rispetto al 2019 agli 80 mila, ma in quest’ultimo caso solo con una seconda ondata che aumenti del 50% il rischio di morte per gli anziani».
Lo scenario centrale è di 60 mila morti in più?

«In teoria sì. Ma la seconda ondata, se ci sarà — speriamo di no — sarà meno dura dal punto di vista della letalità. Abbiamo capito come gestire meglio questo fenomeno. Noi all’Istat stiamo lavorando, con l’Istituto Superiore di Sanità e alcune università, per mettere in piedi un sistema di monitoraggio per identificare in fretta i focolai e segnalarli. Anche avere 40 mila morti in più sull’anno prima è drammatico, chiaro, ma sarebbe sempre meno di quanto è successo nel 1956 o anche nel 2015 rispetto agli anni precedenti».

La fuga dei giovani all’estero frena l’economia. In questo la riduzione della mobilità dovuta a Covid può aiutare?

«Prima del Covid, spesso il Paese non era in grado di dare un futuro ai giovani. Stupidamente investiva su di loro, li formava e li regalava al resto del mondo. Anch’io ho una figlia a Londra. Ora i giovani sono a casa, ma solo perché la mobilità si è bloccata. La scommessa sarà riuscire a creare condizioni che consentano loro di restare anche dopo per la ricostruzione. Altrimenti andranno a fare la ricostruzione degli altri Paesi».

I dati dell’occupazione durante la pandemia dicono che sono sempre i giovani a pagare.

«Sono le fasce meno protette, che si fanno carico di tutta la flessibilità. Credo che la parola magica sia opportunità. Magari con regole un po’ più adatte non a licenziare o a sfruttare, ma a dare a ciascuno la possibilità di trovare il posto giusto».

L’eredità di due padri dell’Europa

Questo articolo è l’ultimo di una serie di tre estratti della tesi di laurea magistrale in Studi Storici, Antropologici e Geografici dell’Università degli Studi di Palermo dal titolo “L’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Due fedi opposte e un ideale comune” del giovane Francesco Libotte. In queste righe, si approfondisce l’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli cercando di ricostruire come queste due figure così diverse hanno portato avanti il medesimo ideale dell’unificazione Europea.
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di Francesco Libotte

Le profonde differenze che separavano Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli non impedirono la particolare sintonia che si creò tra i due personaggi nella collaborazione alla costruzione del loro sogno comune. L’Europa unita. Infatti Spinelli, fondatore del Movimento Federalista Europeo, trovò in De Gasperi, europeista convinto, un interlocutore attento e disponibile all’ascolto, e contribuì così a rendere sempre di più il suo europeismo di tipo federalista.

Si può dunque dire che De Gasperi nutrì il suo federalismo anche delle elaborazioni di Spinelli. De Gasperi, fra l’altro, aveva una rara capacità di aprirsi agli apporti culturali provenienti da ambienti diversi, traendone tutto ciò che di positivo poteva venirne alla sua azione politica. Egli seppe recepire dalla cultura federalista quegli spunti istituzionali che senza difficoltà andavano a integrarsi nel suo iter formativo, facendone risultare un approccio ai temi europei assolutamente originale.

Si trattò quindi di un fecondo confronto di idee e di un reciproco arricchimento ed è forse in questa chiave e in questo sforzo di armonizzazione che va ricercata l’eredità più importante lasciata da De Gasperi e Spinelli. Infatti, sebbene non sia andato in porto il progetto che più avevano a cuore – la CED e il tentativo di una Federazione europea – resta infatti a futura memoria l’unità di intenti con cui i due padri dell’Europa, con fedi così distanti, lavorarono alacremente. Si può quindi affermare che fra i due padri fondatori, con storie e convinzioni così dissimili, vi sia stata un’unione di intenti e persino un’affinità maggiore di quanta ciascuno di loro ne trovò fra i propri compagni politici.

Questo vale certamente per De Gasperi, il cui federalismo non fu compreso e accettato da tutti, né all’interno della Democrazia Cristiana, né all’interno dei suoi governi, fra i suoi stessi Ministri. Ma vale anche per Spinelli, le cui tesi federaliste radicali furono difficili da digerire persino tra i membri del Movimento Federalista, oltre che fra le altre correnti europeiste. Condivisero pertanto, oltre ad un nucleo importante di idee, anche quello che spesso è il destino di molti precursori e visionari: l’essere difficilmente compresi dai loro contemporanei.

L’idea di Europa in De Gasperi e Spinelli

Questo articolo è il secondo di una serie di tre estratti della tesi di laurea magistrale in Studi Storici, Antropologici e Geografici dell’Università degli Studi di Palermo dal titolo “L’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Due fedi opposte e un ideale comune” del giovane Francesco Libotte. In queste righe, si approfondisce l’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli cercando di ricostruire come queste due figure così diverse hanno portato avanti il medesimo ideale dell’unificazione Europea.
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di Francesco Libotte

La grande differenza di pensiero, nonché le diverse convinzioni in antitesi, non impedirono ad Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli di condividere il comune sogno europeista. Si potrebbe osservare come, nonostante la notevole distanza che separa i due personaggi, si sia creata una sintonia, in particolare, attorno a tre questioni concernenti il progetto di uno stato europeo.

La prima attiene al “tipo” di europeismo. Entrambi imboccarono infatti con convinzione la soluzione propriamente federalista, nella consapevolezza che fosse distinta dalla strada funzionalista e da quella confederale, restia ad accettare effettive limitazioni di sovranità nazionale in favore di istituzioni sopranazionali.

Il punto non fu di carattere teorico. Si trattava di considerare la costruzione europea come un effettivo processo di devoluzione di competenze statali alle istituzioni federali. Non bastavano istituzioni europee in cui ogni Paese trovasse la sua rappresentanza attraverso i propri governanti, ma di istituzioni europee tendenzialmente indipendenti dagli Stati. Il principio federalista richiedeva infatti la creazione di un’autorità politica svincolata dagli interessi dei singoli Stati, che andasse oltre la mera cooperazione e fosse autenticamente sopranazionale.

La seconda attiene alla democrazia. De Gasperi e Spinelli si trovarono infatti all’unisono non solo sul federalismo in senso autenticamente inteso, ma anche su di un aspetto non marginale, attinente alla rappresentatività delle istituzioni europee, ossia alla loro reale democraticità. Per entrambi, infatti, l’Europa avrebbe dovuto unire e rendere interdipendenti non solo i governi, ma anche i popoli. Gli stessi cittadini europei avrebbero dovuto consapevolmente partecipare a questa integrazione, attraverso il voto e attraverso istituzioni giuridiche federali che rendessero possibile la rappresentanza popolare, come il Parlamento europeo. I due padri fondatori avevano chiaro come l’unione europea dovesse essere un’opera realizzata dagli stessi popoli europei e non dalle varie agenzie specializzate, dalle diplomazie o da efficienti burocrazie sopranazionali.

La terza questione concerne la prospettiva sociale. Il federalismo di De Gasperi e Spinelli significava anche giustizia ed equità nelle relazioni fra i soggetti del nuovo ordinamento europeo. La fine del dogma della sovranità statale doveva infatti significare un cambiamento nelle relazioni economiche e nei rapporti di lavoro, e quindi un miglioramento delle condizioni di povertà e di disoccupazione del dopoguerra. L’Europa federale significava per loro una società più umana, tollerante, giusta e politicamente libera. L’aspetto della giustizia sociale fu dunque un ulteriore elemento di unione, sebbene fossero molto differenti i fondamenti dottrinali ed etici su cui si basava.De Gasperi si ispirava infatti alla dottrina sociale cristiana e ai suoi principi di dignità della persona, di solidarietà, sussidiarietà e bene comune. D’altra parte era altresì certo che la condizione di base per una convivenza pacifica passasse attraverso l’armonizzazione delle diverse correnti di pensiero. E che pertanto tutte – sia il liberalismo, sia il socialismo, sia il cristianesimo – fossero indispensabili per cementificare l’unione del continente. In uno dei suoi ultimi discorsi tenne a ribadire come l’essenza dell’internazionalismo fosse la sintesi storica di fattori ideologici diversi, ognuno dei quali arreca elementi giuridici, sociali e spirituali atti a promuovere l’unità e la pacifica collaborazione delle genti.