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L’eredità di Alcide De Gasperi
vive, dopo 70 anni, in tutti
gli italiani che gli devono
Democrazia e Libertà

Il Foglio recensisce “La Seconda repubblica”

Alcuni giorni fa Il Foglio, quotidiano sempre attento alle nostre attività, ha recensito “La Seconda repubblica”. Si tratta di una pubblicazione realizzata dalla Fondazione De Gasperi con il contributo e la supervisione di Francesco Bonini, Lorenzo Ornaghi ed Andrea Spiri.

Riportiamo di seguito l’articolo di Antonio Campati

Online il primo policy paper di Young voices against disinformation

Andrea Molle, Young voices against disinformation,

È online il primo policy paper nato dal gruppo di giovani che ha seguito il percorso di “Young voices against disinformation; building resilience“, progetto realizzato dalla Fondazione De Gasperi con il supporto della Public Diplomacy Division NATO.

Le ragazze e i ragazzi che hanno lavorato a questo documento si sono interrogati in particolare sulla natura della disinformazione e quale sia il suo ruolo in un’epoca come la nostra, caratterizzata da società interconnesse e della comunicazione di massa.

Hanno lavorato a questo progetto Valeria Awad, Angelo Sessa e Francesco Alimena.

Per poterlo consultare basta cliccare qui:

Il nuovo Leviatano

Tra le cause del degrado della vita pubblica Luigi Sturzo annoverava “statalismo, partitocrazia e sperpero del denaro pubblico”, che definiva “le tre male bestie”.

Il sacerdote siciliano riteneva lo statalismo la degenerazione del legittimo potere dello Stato, sia per la sua attitudine a occupare spazi di libertà dei cittadini, delle imprese e degli organismi pubblici territoriali, sia per la sua tendenza a trasmodare in occasione di malaffare o, comunque, di mala gestio delle risorse pubbliche.

Si tratta di ragioni ontologiche che, come tali, conservano nel tempo la loro validità.

Per quanto i rischi segnalati possano essere contenuti con un intelligente sistema di check and balance, la debordante presenza dello Stato nella vita del Paese contiene, in sé, un’ineliminabile spinta all’alterazione degli ambiti naturali delle libertà economiche e personali, oltre chè un pericolo di malversazioni.

Ancorchè le culture politiche dominanti siano state nel novecento (quasi tutte) governate da una concezione di favore per l’espansione della sfera pubblica, il mercato ha progressivamente guadagnato spazi di azione (prima sottratti alla concorrenza) e lo Stato si è così attestato su (più appropriate) posizioni (quasi solo) di regolazione e di vigilanza, in coerenza con il monito di De Gasperi: “la costituzione economica di uomini liberi non si crea però con cieco automatismo delle forze in libera gara…ma si forma sotto vigile controllo dello Stato”.

Quando, tuttavia, la misura dei rapporti tra Stato e mercato sembrava aver trovato un assetto piuttosto bilanciato, è arrivato il cigno nero della pandemia e quell’equilibrio è tornato in tensione.

Si assiste, negli ultimi giorni, alla ricerca frenetica di soluzioni “pubblicistiche” (poi cristallizzate nel decreto legge appena approvato) alla crisi indotta dall’emergenza sanitaria.

Come seguendo un riflesso pavloviano, la politica chiede aiuto allo Stato, nella difficoltà di trovare rimedi alternativi.

Si comporta come un bambino che, istintivamente, in un momento di difficoltà e di disperazione torna dal padre e invoca il suo soccorso (come il figliuol prodigo). Ma lo Stato è sempre un buon padre? Dipende.

E’ più buono un padre che accompagna il figlio alla maturità, lo incoraggia e gli insegna l’assunzione di doveri e responsabilità o quello che gli toglie ogni pensiero, gli risolve ogni problema, ma gli impedisce di crescere, creare, costruire la sua vita?

La risposta è nella domanda.

Si dirà, tuttavia, che, in una situazione di estrema difficoltà, la pedagogia deve cedere il passo all’urgenza del soccorso (primum vivere, deinde philosophari).

Vero, ma fino a che punto? E con quali effetti conseguenti?

Non è agevole, in questi giorni così difficili, analizzare la consistenza della trasformazione del ruolo dello Stato che si va configurando.

Si ricorre, infatti, all’àncora salvifica dello Stato e, contestualmente, la si respinge, in uno strano conflitto logico.

Si invoca l’intervento dello Stato nel capitale delle aziende, nel sostegno ai redditi, nei finanziamenti alle imprese, ma si tende a rifiutare o a smantellare i controlli pubblici sull’esercizio delle attività economiche e a declinare la verifica giurisdizionale sul corretto esercizio delle funzioni che le amministrano; per altro verso, si vuole introdurre il tracciamento pubblico dei movimenti dei cittadini, ma si eludono le istanze di controllo sulla genesi e sul funzionamento di tale meccanismo.

Se ne ricava l’impressione di un nuovo statalismo schizofrenico e confuso e, forse, proprio per questo, ancora più pericoloso: più Stato e più deregulation.

I rapporti tra Stato e cittadini, tra Stato e mercato, sembrano affidati a frontiere mobili e contraddittorie: lo Stato à la carte.

In questo momento di inedita revisione del ruolo dello Stato (non solo in economia), torna allora utile la lezione di Einaudi: “la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica”.

Lo Stato del laissez faire, se ben amministrato, permette ai cittadini e alle imprese di esprimere le loro energie migliori, produce la vitalità virtuosa delle società libere e favorisce, con un’assistenza pubblica mirata e intelligente, lo sviluppo di idee e la diffusione del benessere.

Al contrario, lo Stato assistenziale produce dipendenza e parassitismo e induce all’inerzia. Soffoca e scoraggia le iniziative private. Quando, poi, pretende di gestire le imprese, oltre la misura fisiologica della partecipazione a quelle che erogano servizi alla collettività, rischia di produrre effetti perversi come i traffici delle cariche o l’amministrazione opaca delle aziende.

Se una concezione paternalistica dello Stato genera inefficienza, interventi pubblici finalizzati al sostegno, e non alla sostituzione, del mercato, servono a spingere, secondo una dinamica virtuosa, la rinascita, ma non a drogarla.

In questa prospettiva, appaiono senz’altro utili interventi pubblici di supporto e di garanzia alle imprese, così come di semplificazione amministrativa, nella misura in cui valgono ad accompagnare le imprese verso la ripresa, che deve, tuttavia, restare poi affidata alla loro forza autonoma.

Attengono, invece, a una logora logica statalista misure di ricapitalizzazione e di gestione pubblica delle aziende, che finiscono per riproporre inevitabilmente i difetti già sperimentati di una partecipazione impropria dello Stato alle attività d’impresa.

Se, poi, l’intervento dello Stato genera nuovo indebitamento, il futuro del Paese resta ipotecato a obbligazioni insostenibili, con ineluttabile e prevedibile sottrazione futura di ricchezza e di libertà.

La crisi che stiamo vivendo ammette senz’altro una temporanea trasformazione del ruolo dello Stato e un suo intervento extra ordinem, purchè, tuttavia, resti eccezionale e non getti le fondamenta di uno stabile assetto neostatalista.

Evitiamo che lo Stato si trasformi nel Leviatano insaziabile evocato da Buchanan.

 

Carlo Deodato

Presidente di sezione del Consiglio di Stato

Membro del comitato scientifico della Fondazione De Gasperi

(articolo uscito sul Il Foglio il 24/5)

“Back to the future”: il dibattito sulla legge elettorale proporzionale in Italia nella XVIII legislatura

Di Gian Marco Sperelli

Tra i tanti anniversari della storia d’Italia del 2019 appena concluso, vi è certamente da annoverare il centenario del varo della legge elettorale proporzionale del 1919, con cui peraltro si sancì l’introduzione del suffragio universale per l’elettorato maschile.[1] Ad oltre cent’anni di distanza, il dibattito politico ha virato nuovamente verso un ritorno al sistema proporzionale, a seguito del disegno di legge presentato dal Presidente della Commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia, che i cronisti parlamentari hanno già ribattezzato con il nome di sartoriana memoria di “Germanicum”.

Il “Rosatellum” – il vigente sistema elettorale – è destinato ad essere stravolto, in virtù della prevista abolizione della quota di seggi da assegnare secondo il modello maggioritario a turno unico, a favore, invece, di un impianto esclusivamente proporzionale con una soglia di sbarramento fissata al 5%, pur prevedendo il diritto di tribuna per le formazioni politiche non in grado di raggiungere suddetta soglia, ma capaci di ottenere – per la Camera- tre quozienti in almeno due Regioni e al Senato in una Regione, in modo tale da poter partecipare alla ripartizione dei seggi in base ai quozienti conquistati.

Tralasciando i punti di contatto con l’ impianto proporzionale tedesco[2], pur con le significative differenze trattandosi di un sistema misto con la presenza di collegi uninominali, la proposta al vaglio del parlamento, tuttavia, denota la rimonta prepotente di quella che era stata la visione di un grande studioso come Roberto Ruffilli. Senatore eletto come indipendente dalla Dc, durante la segreteria di Ciriaco De Mita negli anni ‘80, il compito di Ruffilli fu di elaborare riforme nella democrazia parlamentare tali da rafforzare il circuito cittadini-parlamento-governo.[3] Alla fine dei lavori la “Commissione Bozzi” votò un ordine del giorno, firmato anche dai capigruppo del Pci e del Psi, che suggeriva come sistema elettorale la rappresentanza proporzionale personalizzata utilizzata allora e tuttora in Germania. Ruffilli attribuiva grande importanza alla formazione di una cultura della coalizione. A dire il vero, l’Italia degli anni’80 cominciava ad essere attraversata da una crescente spinta verso una cultura politica della competizione, premessa indispensabile di qualsiasi democrazia bipolare, maggioritaria, capace in definitiva di ottenere la tanto agognata alternanza.[4] Ruffilli, andando controcorrente, sosteneva, invece, la necessità di inaugurare in Italia una nuova cultura della coalizione propedeutica alla costruzione di uno schieramento maggioritario, intorno a priorità programmatiche da attuare consentendo -senza riserve- che il primo partito in termine di seggi potesse esprimere il capo della coalizione. Nella concezione di Ruffilli la leadership era essenzialmente di natura programmatica e non esclusivamente di matrice carismatica, per sancirne ancor di più la contendibilità sul medio e lungo periodo.

La menzionata proposta di riforma della legge elettorale da parte della maggioranza di governo (PD, M5S, IV e LeU) rappresenta, dunque, un turning point sostanziale nella ricomposizione del sistema politico italiano secondo la lezione del già citato Ruffilli? A giudicare le evidenti incongruenze e conflittualità dei membri della compagine governativa, la nuova legge elettorale appare purtroppo come il solito escamotage dei partiti di maggioranza per ostacolare e limitare il più possibile una eventuale débâcle alle urne. In questo quadro si colloca perfettamente la simmetria tra una legislazione elettorale bulimica[5] e una offerta politica sempre più insoddisfacente, come peraltro testimoniato dalla mai tramontata tendenza di scissioni e defezioni in seno ai partiti maggiori.

Ancor più inconcludente, se non come semplice forma di schermaglia e disturbo, è apparsa la presentazione del quesito referendario abrogativo da parte di otto Consigli regionali su impulso della Lega, per la cancellazione della quota proporzionale della “legge Rosato”, al fine di trasformare la legislazione elettorale secondo lo schema inglese maggioritario del “first past the post.” Tale iniziativa referendaria è stata, infatti, dichiarata inammissibile per la natura eccessivamente manipolativa del quesito, in particolar modo nella parte che riguarda la delega conferita all’Esecutivo ( legge n. 51/2019) per la definizione dei collegi in attuazione alla riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari. Nel perenne dibattito, protrattosi dal 1993 fino ai giorni nostri, intorno alla legislazione elettorale, tornano, così, alla mente i celebri versi di T.S. Eliot, che ci restituiscono il senso definitivo dello stato di profonda incertezza della politica italiana:

 

(..)In a minute there is time

For decisions and revisions which a minute will reverse.[6]

 

[1] Per una analisi sommaria sulla correlazione tra l’introduzione della legge elettorale proporzionale e la nascita della moderna democrazia di massa in Italia, si rimanda a P. Craveri, L’arte del non governoL’inarrestabile declino della Repubblica italiana, Marsilio, Venezia 2016, p. 19.

[2] Sul sistema proporzionale personalizzato tedesco, si rimanda a M. Caciagli e P. Scaramozzino, Democrazie e Referendum, Edizioni Comunità, Milano 1994.

[3] R. Ruffilli e P. Capotosti, Il cittadino come arbitro. La DC e le riforme istituzionali, Il Mulino, Bologna 1988.

[4] G. Pasquino, Restituire lo scettro al Principe. Proposte di riforme costituzionali, Roma-Bari, Laterza 1985.

[5] Appare impietoso enumerare il continuo alternarsi di leggi elettorali dal 2005 in poi, per effetto anche delle sentenze di incostituzionalità della Consulta nei confronti del “Porcellum”( legge n. 270 del 21 dicembre 2005) con sentenza n. 1/2014 e dell’ ”Italicum”( legge n. 52 del 6 maggio 2015), fino ad arrivare al “Rosatellum” ( legge n. 165 del 3 novembre 2017).

[6] T.S. Eliot, The love song of J. Prufrock, in Prufrock and other observations, The egoist Ltd, London 1917.

Decarbonization by 2050: Opportunities for a Green Economy under the Italian G20 Presidency

By Celine Bak

Along with the EU, the UK and France, Italy is one of only four G20 members to make a long-term commitment to net zero emissions by 2050.[i] This makes the Italian G20 Presidency, which commences in 2021, a unique platform on which to build the political trust and confidence needed to seize the opportunities presented by a green and decarbonized economy.

 

The G20 is responsible for 85 percent of global economic activity and 78 percent of the heat-trapping emissions currently accumulating in the atmosphere. In the special report on 1.5°C of warming, the International Panel on Climate Change (IPCC) is clear that if we are to minimize climate risks and hold warming to 1.5°C, we must decarbonize the economy by 2050. Doing so will stave off the risk of us crossing natural tipping points, beyond which the Earth’s systems will experience largely irreversible change.[ii]

 

The current emissions gap is large – so large that if decarbonization of human activity were a war effort, we should today fear defeat. Global CO2 emissions are at an all-time high, up 2.7 percent in 2018 after a rise of 1.6 percent in 2017.[iii] Madrid’s COP25 provided no indication of the trust and political confidence needed to address the dangers posed by these less-than-sufficient national commitments (known as nationally determined contributions, or NDCs) to emission reductions by 2030 and carbon neutrality for all developed economies by 2050. This trust and political ambition is fundamental to the task before us. The Paris Agreement is a framework intended to build up confidence within and among its parties to enable coordinated, country-level commitments that together achieve sufficient emissions reductions to keep temperatures from rising above safe levels indicated by the best available science.[1]

 

Now twice-failed COP25 negotiations on carbon markets that would work to coordinate exchanges of emissions reductions show how much work remains to be done to rebuild the trust needed to limit temperature rises to safe levels.

 

The EU showed leadership during COP25 by announcing its Green Deal – the EU’s growth strategy for the coming decade. Europe’s commitment to be the first climate-neutral continent turns on transforming an urgent challenge into a unique opportunity. The Commission indicated that “above all, the European Green Deal sets a path for a transition that is just and socially fair … [one] designed to leave no individual or region behind in the great transformation ahead.”[iv]  The Green Deal would “protect, conserve and enhance the EU’s natural capital, and protect the health and well-being of citizens from environment-related risks and impacts.”[v]

Today, the decarbonization targets set by G20 countries are aligned with 3°C of heating by 2100. The human impact of this level of warming would be profound, with critical water shortages five times greater at 3°C of heating compared to 1.5°C. Other expected impacts include a near doubling of days with heat above 50°C, from 30 to 50 per year, when compared to 1.5°C of heating. Along with land-management practices, Australia’s deadly and economically devastating wild fires are a result of exactly this type of hotter, dryer weather over longer periods. Shorter growing seasons, an increase in the spread of insect-borne diseases, drought, extreme rainfall and food scarcity are just some of the other negative impacts that we can expect at our current trajectory.[vi] Recent medical research is clear: without decarbonization, climate change will be the determining factor in the health of children born today.[vii]

 

In its recent report on the economic impacts of climate change, the Network for Greening the Financial System concluded that estimates for the physical effects of climate change on the macro-economy between now and 2100 indicate a risk of large negative consequences, ranging from 1.5 to 23 percent of global annual gross domestic product (GDP) per capita.[viii] As US Fed Governor Lael Brainard recently stated, “To fulfill our core responsibilities, it will be important for the Federal Reserve to study the implications of climate change for the economy and the financial system and to adapt our work accordingly.”[ix]

 

But if the risks of failing to decarbonize the global economy are great, so are the opportunities that we could expect from making a decarbonized global economy business as usual. This is so particularly at a time when major economies are seeking a pro-investment agenda and the financial stability risks of continued investment in companies and projects which could be made worthless by climate policy or impacts are increasingly clear. According to the Global Commission on the Economy and Climate, the shift to a green economy could create US$26 trillion in benefits and 65 million jobs by 2030.[x]  This opportunity must be kept in sight along with the value of trillions of dollars of assets which could be whipped out through the policy responses required to address to keep the rise in temperatures to safe levels.[xi]

 

Businesses are recognizing this opportunity. On the basis of the Marrakesh Partnership, a platform for voluntary contributions to reducing emissions under the United Nations Framework on Climate Change (UNFCCC), corporations are voluntarily establishing climate-science-consistent business plans.[xii] These companies, which have set Paris-aligned decarbonization targets, are reporting improved brand reputation, increased investor confidence and competitive advantage in the marketplace. The scope and scale of these commitments are noteworthy. Nine hundred companies are part of this platform, of which over 400 are developing plans to decarbonize in line with the Paris Agreement, with 177 committing to decarbonizing their operations by 2050.[xiii] Their total market capitalization is $20 trillion, or about a quarter of global GDP.[xiv] Similar commitments are now being made by financial institutions, including banks and global asset managers.

 

Building the decarbonized economy and the financial system it needs will require bold and ambitious government policies. Under the Italian G20 Presidency, policymakers, the private sector and civil society could work together to build confidence in the potential of the green and decarbonized economy. This could be done by setting a clear pathway for a transition to net-zero GHG emissions by 2050 that ensures social inclusion and takes care of workers in high-carbon industries. The G20 could advance this imperative through a pro-investment agenda for decarbonization. This is critical to support strengthening NDCs and 2030 targets in line with decarbonization by 2050 for countries for advanced economies and by 2060–70 for countries with developing economies.

 

A key to stimulating investment aligned with long-term sustainability is establishing regulatory certainty to build confidence in new investment norms and behaviours by backing these plans and targets with ambitious sectoral goals and policies, such as the following:

  • Scaling up renewable energy deployment to achieve a 100 percent clean power system by 2040, establishing a near moratorium on coal finance and new coal plants, and setting an ambitious coal phase-out date of 2030 for advanced economies and 2040 for all other G20 members.
  • Setting 2030 as the phase-out date for internal combustion engine vehicles while providing investment in decarbonized public transportation, in electric vehicle (EVs) infrastructure and fiscal incentives for EVs.
  • Establishing a forum for the decarbonization of heavy emitting sectors such as steel, aviation, trucking and shipping, as well as mining and oil & gas through public-private collaboration.
  • Transitioning to a land system that supports a decarbonized economy and can feed a growing population with sustainable ecosystems and healthy communities, including through climate-smart agricultural practices and ending deforestation.
  • Addressing the social impacts of decarbonizing the economy and adapting to the climate impacts already faced, leaving no one behind.
  • Building resilience against climate impacts for the communities that support value chains globally by investing in adaptation, including through nature-based solutions and biodiversity.

 

These sectoral plans and targets will deliver the full rewards of growth if they are implemented in the context of a G20 sustainable finance agenda which should include the reforms needed to:

 

  • Support a pro-investment agenda in clean infrastructure which pulls through innovation and improves the health and lives of citizens.
  • Ensure inclusive access to capital particularly for regions whose economies are highly exposed to hydrocarbon-based energy.
  • Modernize financial regulations that drive corporate focus on short-term profit rather than long-term sustainability.
  • Assure the protection of savers from the action of financial institutions that continue to invest in projects whose value may be wiped out by decarbonization policies and climate effects.

 

Italy’s G20 green economy agenda should be focused on building trust and confidence, including through leveraging progress on the EU’s Green Deal as well as the preparations and achievements of the UK and Italy’s collaboration on COP26 in Glasgow in December 2020. This should include integrating the long-term sustainability and the green economy agenda across all ministerial meetings. Because of the urgency of the climate crisis, and the need to accelerate the translation of science into the widest possible spectrum of policy changes, roles are evolving quickly. For example, a large measure of the EU’s quick progress on the Green Deal and before that on the Action Plan on Financial Sustainable Growth, is the result of its strong youth and civil society, which increasingly combine building and translating evidence for policy, engagement and advocacy with policy makers with the traditional role of education of and engagement with citizens. Creating mechanisms to raise the impact of youth and civil society will increase the impact of Italy’s G20 Presidency on the green economy.

 

Building a prosperous, decarbonized economy by 2050 requires a transformation of unprecedented pace and scale – one similar to that needed to win World War II. This transition is achievable, but only when there are new, collectively inspired ways of working. This can happen when public-sector, private-sector and civil-society leadership positively reinforce each other. As a clear leader through its commitment to decarbonization by 2050, Italy, through its G20 presidency, can build up trust among G20 members and provide an example of ambitious government policies for the Green Economy to stimulate the private, public, and political investments needed to achieve the full ambition of the Paris Agreement and bring to society all the benefits of the Green Economy.

 

For information please contact:

Céline Bak celine.bak@analytica-advisors.com

+1 613 866 9157

[1] Article 2 lays out the aim of the Paris Agreement as “strengthen[ing] the global response to the threat of climate change, in the context of sustainable development and efforts to eradicate poverty, including by holding the increase in global average temperature to well below 2°C above pre-industrial levels and pursuing efforts to limit the temperature increase to 1.5°C above pre-industrial levels, recognizing that this would significantly reduce the risks and impacts of climate change.” Science published in 2018 and 2019 through the IPCC indicates that a 1.5°C rise in temperature – not 2°C – should be considered safe. Compared with current annual emissions of 55 Gigatonnes CO2 Equivalent (GtCO2e), in 2030, annual emissions need to be 58 percent lower (a 32 GtCO2e reduction) for the 1.5°C goal and 27 percent lower (a 15 GtCO2e reduction) for the less safe goal of 2°C. See https://www.unenvironment.org/interactive/emissions-gap-report/2019/ for a summary.

[2] Negotiations on Article 6 carbon markets were pushed to 2020 after the 2018 negotiations at Katowice failed. Defeated proposals for global carbon markets centered on safeguards for human rights, including indigenous rights, mechanisms to finance the cost of climate change through a share of the proceeds of carbon trading, mechanisms to ensure no double counting of emissions reductions, assure overall reduction of emissions and limit credits from the previous emissions-trading regime.

[i] https://www.bbc.com/news/science-environment-50547073?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=c9ca9547c3-briefing-dy-20191126&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-c9ca9547c3-44530773

 

[ii] https://www.ipcc.ch/sr15/

 

[iii]  https://www.scientificamerican.com/article/co2-emissions-reached-an-all-time-high-in-2018/

 

[iv] https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en

 

[v] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:52019DC0640&from=EN

 

[vi]  https://www.climate-transparency.org/g20-climate-performance/g20report2019

 

[vii] https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)32596-6/fulltext

 

[viii]  https://www.bankofcanada.ca/2019/11/researching-economic-impacts-climate-change#footnote-ref-1

 

[ix]  https://www.theglobeandmail.com/business/economy/interest-rates/article-federal-reserves-lael-brainard-says-climate-change-poses-profound/

[x] https://www.sei.org/projects-and-tools/projects/global-commission-on-the-economy-and-climate/

 

[xi] https://www.cnn.com/2019/12/09/economy/climate-change-company-valuations/index.html

 

[xii] https://unfccc.int/climate-action/marrakech-partnership-at-cop-25

 

[xiii] CDP and the World Resources Institute are responsible for the protocols for these commitments and for vetting each company’s decarbonization plan.

 

[xiv]  https://www.wemeanbusinesscoalition.org/companies/#country=Italy

 

Quaderni Degasperiani per la storia dell’Italia contemporanea

I Quaderni Degasperiani per la storia dell’Italia contemporanea, a cura di Pier Luigi Ballini, sono una nuova iniziativa della Fondazione Alcide De Gasperi per favorire una migliore, più approfondita conoscenza di De Gasperi e del suo tempo. Negli anni scorsi, con lo stesso obiettivo, è stata promossa, in occasione del cinquantenario della scomparsa dello Statista – uno dei Padri Fondatori dell’Europa Unita – la Mostra Internazionale Alcide De Gasperi-Un europeo venuto dal futuro, presentata sinora in quattordici città, in Italia e all’estero; sono stati organizzati Convegni e Seminari su grandi temi della politica interna ed internazionale; si è pubblicata la biografia, in tre volumi, Alcide De Gasperi. Con i Quaderni si intende contribuire, in un largo arco tematico e cronologico, alla migliore conoscenza del pensiero e dell’opera degasperiani con la pubblicazione di carteggi e di altra documentazione inedita, di saggi e di note storiografiche per favorire un rinnovato dibattito sull’Italia contemporanea. Le ricerche archivistiche già avviate, in Italia e all’estero, sul movimento cattolico “dall’opposizione al governo”, sulla formazione di De Gasperi e sul suo impegno giovanile, sulla sua attività politica prima e dopo il fascismo consentiranno così – in un quadro europeo di temi e di riferimenti – approfondimenti sull’economia, sulla società e sulla cultura del secolo appena trascorso, sulle decisive scelte di politica internazionale da lui compiute, sulla sua politica europeistica, lucidamente anticipatrice, tenendo anche conto del più aggiornato dibattito storiografico. L’Italia, fra la fine dell’Ottocento e il primo cinquantennio del secolo appena trascorso, e la “nostra patria Europa” saranno sunque al centro delle ricerche e delle riflessioni che i Quaderni proporranno.

UN CALIFFATO IMPROBABILE

Con la proclamazione del cosiddetto Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi il 29 giugno 2014 è tornato in auge un tema dal forte impatto propagandistico per l’ecumene islamica che sembrava essere stato accantonato dopo il collasso dell’Impero ottomano. Questo contributo illustra le radici del Califfato storico prima arabo poi ottomano mettendo in risalto le contraddizioni insite nelle pretese di Daesh rispetto alla stessa dottrina islamica sunnita relativa al titolo e alla funzione di Califfo.

Scarica il paper: “Un Califfato improbabile”.

Di Roberto Motta Sosa, studioso di geopolitica e storia delle relazioni internazionali, autore e analista per varie testate e centri studi italiani. Si è laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in Storia, con indirizzo storico-religioso, approfondendo gli aspetti storici e geopolitici legati al Vicino Oriente ottomano nel periodo compreso tra la fine del XIX e l’inizio XX secolo.

THE ART OF POLITICS – YOUNG PEOPLE LOOKING FORWARD TO THE FUTURE – 2° EDITION

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School of Political Education, Second Edition

Fondazione De Gasperi

Wilfried Martens Centre for European Studies

Instituto Amaro da Costa

Summary

  • Introduction. School of Political Education

Lorenzo Malagola, Secretary General, De Gasperi Foundation

  • Work as a gesture

Giovanni Maddalena, Professor of History of Philosophy, University of Molise
(Turin, October 21st-23rd 2016)

  • The Supranational Non-Political Paradigm

Luigi Crema, Visiting Professor, University of Notre Dame Law School Lisbon
(November 25th 2016)

  • Introduction to the role of centre-right think tanks in the policy-making process

Margherita Movarelli, Project Officer, Wilfried Martens Centre for European Studies
(Rome, December 2nd-4th 2016)

  • The future of global economy in post-capitalism

Emilio Colombo, Professor of International economics, Catholic University of the Sacred Heart, Milan
(Rome, December 2nd-4th 2016)

  • Geography, History and European Strategy

Raquel Vaz-Pinto, President, Editorial Board of idl Instituto Amaro da Costa
(Rome, December 2nd-4th 2016)

  • A new humanism as answer to the crisis

Alberto Maria Gambino, Vice-Rector, European University of Rome
(Rome, December 2nd-4th 2016)

GUARDARE AL PASSATO PER COSTRUIRE IL FUTURO: UNA PROSPETTIVA DELLE RELAZIONI TRA UE E SUD AMERICA

Paper e introduzione di Matteo Radice*

Sin dai primi anni del suo processo interno di integrazione regionale, l’Unione Europea ha cercato di promuovere un regionalismo di stampo comunitario nelle varie aree del mondo in via di sviluppo per le quali gli stati europei hanno sempre nutrito forti interessi commerciali. Tra queste, quella che ha saputo ricalcare al meglio un percorso di integrazione regionale simile a quello europeo è il Sud America. Dalle istituzioni più antiche, come il MERCOSUR, fino alle forme di integrazione regionale più recenti, come la CELAC, i paesi sudamericani hanno sempre cercato un dialogo che andasse ben oltre i meri aspetti commerciali, abbracciando un progetto di più ampio respiro: dalla tutela dei diritti umani, alla lotta al narcotraffico, passando per la tutela dell’ambiente.

Negli ultimi anni, tuttavia, il dibattito sulle relazioni tra Unione Europea e gli Stati Latino Americani in merito ad uno sviluppo del regionalismo, pur non avendo subito sostanziali cambiamenti sul piano dei programmi congiunti di sviluppo, sembrava aver subito un rallentamento; ma ora, grazie anche ai recenti cambiamenti politici che stanno progressivamente riportando la classe dirigente sudamericana su un piano potenzialmente più vicino ai partner atlantici, per l’Unione Europea si potrebbero riaprire opportunità interessanti per riprendere un discorso fermo al Vertice UE-CELAC di Madrid di un anno fa.

Ma se dall’emisfero Sud arrivano segnali incoraggianti, a rischiare di trovarsi impreparata a promuovere il processo di integrazione in America Latina è proprio l’Unione Europea che, tra lo stallo politico in Spagna, il pericolo Brexit e l’emergenza nel Mediterraneo, vede il suo soft power notevolmente depotenziato. Per non perdere l’iniziativa diplomatica in Sud America, Bruxelles non deve assolutamente vanificare gli sforzi fatti in questi 20 anni di promozione del regionalismo, ma anzi deve ripercorrere quel percorso.

Scarica qui il paper PDF.

Matteo Radice è studente del Master in European Union Studies alla Universidad Católica San Antonio de Murcia.