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L’eredità di Alcide De Gasperi
vive, dopo 70 anni, in tutti
gli italiani che gli devono
Democrazia e Libertà

Il nuovo Leviatano

Tra le cause del degrado della vita pubblica Luigi Sturzo annoverava “statalismo, partitocrazia e sperpero del denaro pubblico”, che definiva “le tre male bestie”.

Il sacerdote siciliano riteneva lo statalismo la degenerazione del legittimo potere dello Stato, sia per la sua attitudine a occupare spazi di libertà dei cittadini, delle imprese e degli organismi pubblici territoriali, sia per la sua tendenza a trasmodare in occasione di malaffare o, comunque, di mala gestio delle risorse pubbliche.

Si tratta di ragioni ontologiche che, come tali, conservano nel tempo la loro validità.

Per quanto i rischi segnalati possano essere contenuti con un intelligente sistema di check and balance, la debordante presenza dello Stato nella vita del Paese contiene, in sé, un’ineliminabile spinta all’alterazione degli ambiti naturali delle libertà economiche e personali, oltre chè un pericolo di malversazioni.

Ancorchè le culture politiche dominanti siano state nel novecento (quasi tutte) governate da una concezione di favore per l’espansione della sfera pubblica, il mercato ha progressivamente guadagnato spazi di azione (prima sottratti alla concorrenza) e lo Stato si è così attestato su (più appropriate) posizioni (quasi solo) di regolazione e di vigilanza, in coerenza con il monito di De Gasperi: “la costituzione economica di uomini liberi non si crea però con cieco automatismo delle forze in libera gara…ma si forma sotto vigile controllo dello Stato”.

Quando, tuttavia, la misura dei rapporti tra Stato e mercato sembrava aver trovato un assetto piuttosto bilanciato, è arrivato il cigno nero della pandemia e quell’equilibrio è tornato in tensione.

Si assiste, negli ultimi giorni, alla ricerca frenetica di soluzioni “pubblicistiche” (poi cristallizzate nel decreto legge appena approvato) alla crisi indotta dall’emergenza sanitaria.

Come seguendo un riflesso pavloviano, la politica chiede aiuto allo Stato, nella difficoltà di trovare rimedi alternativi.

Si comporta come un bambino che, istintivamente, in un momento di difficoltà e di disperazione torna dal padre e invoca il suo soccorso (come il figliuol prodigo). Ma lo Stato è sempre un buon padre? Dipende.

E’ più buono un padre che accompagna il figlio alla maturità, lo incoraggia e gli insegna l’assunzione di doveri e responsabilità o quello che gli toglie ogni pensiero, gli risolve ogni problema, ma gli impedisce di crescere, creare, costruire la sua vita?

La risposta è nella domanda.

Si dirà, tuttavia, che, in una situazione di estrema difficoltà, la pedagogia deve cedere il passo all’urgenza del soccorso (primum vivere, deinde philosophari).

Vero, ma fino a che punto? E con quali effetti conseguenti?

Non è agevole, in questi giorni così difficili, analizzare la consistenza della trasformazione del ruolo dello Stato che si va configurando.

Si ricorre, infatti, all’àncora salvifica dello Stato e, contestualmente, la si respinge, in uno strano conflitto logico.

Si invoca l’intervento dello Stato nel capitale delle aziende, nel sostegno ai redditi, nei finanziamenti alle imprese, ma si tende a rifiutare o a smantellare i controlli pubblici sull’esercizio delle attività economiche e a declinare la verifica giurisdizionale sul corretto esercizio delle funzioni che le amministrano; per altro verso, si vuole introdurre il tracciamento pubblico dei movimenti dei cittadini, ma si eludono le istanze di controllo sulla genesi e sul funzionamento di tale meccanismo.

Se ne ricava l’impressione di un nuovo statalismo schizofrenico e confuso e, forse, proprio per questo, ancora più pericoloso: più Stato e più deregulation.

I rapporti tra Stato e cittadini, tra Stato e mercato, sembrano affidati a frontiere mobili e contraddittorie: lo Stato à la carte.

In questo momento di inedita revisione del ruolo dello Stato (non solo in economia), torna allora utile la lezione di Einaudi: “la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica”.

Lo Stato del laissez faire, se ben amministrato, permette ai cittadini e alle imprese di esprimere le loro energie migliori, produce la vitalità virtuosa delle società libere e favorisce, con un’assistenza pubblica mirata e intelligente, lo sviluppo di idee e la diffusione del benessere.

Al contrario, lo Stato assistenziale produce dipendenza e parassitismo e induce all’inerzia. Soffoca e scoraggia le iniziative private. Quando, poi, pretende di gestire le imprese, oltre la misura fisiologica della partecipazione a quelle che erogano servizi alla collettività, rischia di produrre effetti perversi come i traffici delle cariche o l’amministrazione opaca delle aziende.

Se una concezione paternalistica dello Stato genera inefficienza, interventi pubblici finalizzati al sostegno, e non alla sostituzione, del mercato, servono a spingere, secondo una dinamica virtuosa, la rinascita, ma non a drogarla.

In questa prospettiva, appaiono senz’altro utili interventi pubblici di supporto e di garanzia alle imprese, così come di semplificazione amministrativa, nella misura in cui valgono ad accompagnare le imprese verso la ripresa, che deve, tuttavia, restare poi affidata alla loro forza autonoma.

Attengono, invece, a una logora logica statalista misure di ricapitalizzazione e di gestione pubblica delle aziende, che finiscono per riproporre inevitabilmente i difetti già sperimentati di una partecipazione impropria dello Stato alle attività d’impresa.

Se, poi, l’intervento dello Stato genera nuovo indebitamento, il futuro del Paese resta ipotecato a obbligazioni insostenibili, con ineluttabile e prevedibile sottrazione futura di ricchezza e di libertà.

La crisi che stiamo vivendo ammette senz’altro una temporanea trasformazione del ruolo dello Stato e un suo intervento extra ordinem, purchè, tuttavia, resti eccezionale e non getti le fondamenta di uno stabile assetto neostatalista.

Evitiamo che lo Stato si trasformi nel Leviatano insaziabile evocato da Buchanan.

 

Carlo Deodato

Presidente di sezione del Consiglio di Stato

Membro del comitato scientifico della Fondazione De Gasperi

(articolo uscito sul Il Foglio il 24/5)

Usa, Cina, Europa e Italia. Quali equilibri geopolitici?

Vi ricordiamo il webtalk di domani, dove affronteremo un tema di politica internazionale molto complesso: i rapporti d’equilibrio nell’assetto geopolitico tra Usa, Cina, Europa e, ovviamente, Italia.

Un sistema ad intreccio già complicato prima della pandemia, ma che oggi, alla luce di vari sviluppi direttamente ricollegabili al Covid-19, vede certamente complicarsi le dinamiche relazionali tra questi attori, tanto sul profilo politico quanto su quello economico.

Di questo parleremo allora il 26 maggio con Angelino Alfano, Presidente della Fondazione; Giampiero Massolo, Presidente dell’ISPI; e infine Paolo Alli, già Presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato.

Vi aspettiamo domani dalle 17.30 alle 18.30.

Link per partecipare: https://us02web.zoom.us/…/register/WN_DzSC-Z6cSsC3ZVQ2fGTDnA

I sequestri di persona. Verso quale modello di security risk management in aree di crisi? Parla Saccone

di Emanuele Lorenzetti

Il tema della sicurezza privata nelle aziende e per le ONG che operano in aree di crisi è sempre più rilevante nel dibattito pubblico e di settore. Come prevenire i sequestri di persona ad opera di gruppi criminali o terroristici? Alla luce del recente caso Silvia Romano, la Fondazione De Gasperi ha voluto compiere una riflessione più generale sull’importanza del security risk management nelle aree di crisi insieme ad Umberto Saccone, presidente di IFI Advisory, già direttore Controspionaggio del SISMI (ex Servizio segreto militare italiano pre-riforma L. 124/2007, ora AISE) e capo della security ENI.

Dott. Saccone, negli ultimi periodi assistiamo ad un crescente fenomeno di rapimento dei volontari e di personale aziendale occidentali che operano nei teatri di crisi. Perché?

Dal 2001 ad oggi sono stati sequestrati nel mondo 65 italiani, 19 di questi erano operatori umanitari. Negli ultimi anni il 52,5% dei rapimenti, è avvenuto ai danni di cooperanti delle Ong (34,5%) e dei giornalisti (18%). Si tratta di lavori, quelli delle ONG, che per loro stessa natura portano gli operatori in zone di conflitto o di sconvolgimenti umanitari; il contatto diretto con la popolazione, la volontà di penetrare tutte le realtà del Paese e la mancanza di adeguati sistemi di sicurezza ne fanno obiettivi altamente remunerativi sia sotto il profilo economico sia sotto quello dell’organizzazione del rapimento. E’ questa la ragione per la quale il 7 Settembre 2004 in Iraq, a Baghdad, un gruppo armato ha fatto irruzione negli uffici della ONG “Un ponte per…” sequestrando Simona Pari e Simona Torretta. Il 14 agosto 2011, nella regione del Darfur, in Sudan, è stata la volta del cooperante di Emergency Francesco Azzarà. Nella notte tra il 22 e il 23 ottobre 2011, nel campo profughi saharawi di Hassi Raduni, in Algeria, è stata rapita Rossella Urru impegnata con la ONG CISP (Comitato Internazionale per lo sviluppo dei popoli). Il 9 gennaio 2012 Giovanni Lo Porto, trentottenne palermitano, è stato sequestrato in Pakistan dove lavorava come capo progetto per l’Ong tedesca “Welt Hunger Hilfe” (Aiuto alla fame nel mondo) e, il 13 marzo 2013, in Siria, è stato rapito il cooperante italo-svizzero Federico Motka che si trovava nel Paese per conto della ONG tedesca “Welthungerhilfe”. Greta Ramelli, ventenne di Gavirate (Varese) e Vanessa Marzullo, ventunenne di Brembate (Bergamo) sono state invece rapite rapite il 31 luglio 2014 ad Aleppo, nel nord della Siria dove operavano per conto della ONG “Progetto Horryaty”. Per ultimo, ma non ultimo, il rapimento di Silvia Romano che operava in Kenia per la ONG Africa Milele.

La normativa internazionale, UE e nazionale vieta allo Stato la possibilità di recuperare gli ostaggi mediante pagamento del riscatto al gruppo criminale o terroristico. Tale pratica, tuttavia, è ancora perseguita da alcuni governi europei, compresa l’Italia. Qual è il motivo, quali le conseguenze negative e come i governi dovrebbero muoversi?

Il diritto internazionale esclude ogni forma di finanziamento del terrorismo. La norma trova il proprio fondamento nella Convenzione di New York del 1979 e in particolare nelle risoluzioni n. 2161 e 2170 del 2014 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che vietano agli Stati membri di finanziare organizzazioni terroristiche, qualsiasi sia la causa della corresponsione, incluso il pagamento del riscatto. A prescindere dalle norme internazionali l’ordinamento italiano punisce il favoreggiamento reale. L’art. 379 c.p. prevede che chiunque aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato (in questo caso pagando un riscatto), è punito con la reclusione fino a cinque anni. Maria Callimachi, giornalista del New York Times ha in più occasioni affermato che i governi europei hanno pagato 125 milioni di dollari in riscatti ai rapitori negli ultimi sei anni’’. Ma restando ai fatti e non alle ricostruzioni più o meno attendibili bisogna prendere atto che il pagamento di un riscatto è escluso dal nostro ordinamento e considerato che i governi che si sono da sempre succeduti hanno sempre smentito il pagamento non abbiamo strumenti per confutare.

L’AISE che tipo di supporto dovrebbe fornire?

L’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) ha il compito di ricercare ed elaborare tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica dalle minacce provenienti dall’estero.  Di fatto l’AISE fa il proprio lavoro operando a tutela degli interessi strategici e salvaguardando il capitale umano patrimonio collettivo dell’intera nazione. Il legislatore ha da sempre inteso far riferimento alla politica informativa e di sicurezza come lo strumento idoneo alla tutela dell’interesse e della difesa dello stato democratico e delle istituzioni poste a suo fondamento dalla Costituzione. E’ lo strumento di cui lo Stato si serve per raccogliere, custodire e diffondere ai vertici decisionali le informazioni rilevanti per la tutela della sicurezza delle Istituzioni, dei cittadini e delle imprese. E’ in tale cornice che l’intelligence opera mettendo a disposizione il proprio network di relazioni, potendo contare su una rete di agenti capillare e professionale, con una profondità operativa unica, tra le forze di sicurezza dello stato, potendo contare anche delle cosiddette garanzie funzionali, ossia delle guarentigie che l’ordinamento ha inteso assicurare agli appartenenti ai servizi di informazione per il caso in cui, nel corso di apposite operazioni, vengano poste in essere condotte punite dalla legge come reato.

Cosa significa oggi per le industrie, come l’italiana Eni, e per le associazioni di volontariato investire nel security management e, se c’è, verso quale modello di gestione?

Secondo gli articoli 32, 35 e 41 della Costituzione italiana la sicurezza, libertà e dignità umana prevalgono sull’iniziativa economica privata (dovere di protezione o duty of care). Tale principio è dettagliato dall’articolo 2087 del codice civile, che impone all’imprenditore di adottare le misure “che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica” del lavoratore e dall’art. 28 del D.lgs. 81/2008 secondo cui il datore di lavoro, nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), deve considerare tutti i rischi “compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”. Dunque, il datore di lavoro è tenuto a garantire al proprio personale tutte le misure di sicurezza, sia con riferimento a quegli eventi di tipo accidentale quali gli infortuni e le malattie professionali, sia rispetto ad eventi esterni all’attività lavorativa quali ad esempio un’aggressione, un attentato ovvero un rapimento (i cosiddetti rischi di security). Tali adempimenti sono a carico del datore di lavoro, quest’ultimo inteso come il responsabile dell’organizzazione dell’attività dell’ente in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa, anche all’interno di ONLUS o di altri enti privi di scopo di lucro.

Cassa depositi e prestiti (CDP): volano per la sostenibilità italiana

di Andrea Belfiore

In occasione del suo 175° anniversario, il Gruppo Cassa depositi e prestiti S.p.A. (CDP), controllato all’83% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha recentemente pubblicato il suo primo Bilancio di Sostenibilità 2019 che, come disposto dal D.Lgs. 254/2016, rendiconta le attività e le performance del Gruppo in materia di utilizzo di risorse energetiche, impatto ambientale, gestione del personale, rispetto dei diritti umani e lotta contro la corruzione.

Come testimonia il Piano Industriale 2019 – 2021, il Gruppo presieduto da Giovanni Gorno Tempini e guidato dall’AD Fabrizio Palermo ha deciso di porre la sostenibilità al centro della sua strategia e degli investimenti per i prossimi anni. Il Piano, presentato lo scorso anno, prevede lo stanziamento di oltre 110 miliardi di euro per la crescita economica e lo sviluppo sostenibile del Paese, in grado di sbloccare ulteriori 90 miliardi da investitori privati e altre istituzioni in quattro aree: Imprese, Infrastrutture e PA, Cooperazione Internazionale e Grandi Partecipazioni.

Il Bilancio di Sostenibilità evidenzia gli sforzi compiuti nel 2019 dal Gruppo che, grazie alla mobilitazione di più 34 miliardi di euro, ha supportato 20.000 imprese; aumentato gli occupati di 600.000 unità e ridotto del 4% l’intensità pro-capite della produzione di emissioni di gas a effetto serra.

Il Gruppo gestisce più di 2.190 dipendenti, di cui il 96% a tempo indeterminato e il 47% composto da donne, garantendo innovativi servizi di welfare e benefit (assistenza previdenziale, copertura assicurativa, contributi annuali per i dipendenti con figli a carico con gravi disabilità) che le hanno permesso di ottenere, per il 2° anno consecutivo, la certificazione di “Top Employers Italia”.

CDP è stata la prima istituzione finanziaria italiana ad essere accreditata al Green Climate Fund (GCF), lo strumento finanziario promosso dalle Nazioni Unite per interventi di contrasto al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo. Ciò le ha permesso di investire nel 2019 oltre 2,8 miliardi di euro in progetti dedicati al contrasto dei cambiamenti climatici attraverso la gestione di fondi pubblici o come partner in fondi d’investimento con altri attori internazionali. In Italia è stata poi partner della Pubblica Amministrazione per la realizzazione di opere di efficientamento energetico immobiliare e interventi di social housing che hanno portato ad un risparmio del suolo del 50% e ad oltre 350.000 m3 riqualificati secondo i più alti standard di efficienza energetica. In particolare, ha poi stanziato oltre 700 milioni a sostegno di famiglie, imprese e altri enti colpiti da calamità naturali finalizzati alla realizzazione di interventi per la prevenzione dei rischi di natura idrogeologica e messa in sicurezza delle comunità locali.

Oltre all’export in cui ha servito oltre 11.000 imprese, il Gruppo ha effettuato importanti operazioni come la creazione del Fondo Nazionale per l’Innovazione, che hanno contribuito a finanziare investimenti in ricerca e innovazione per oltre 580 milioni di euro.

Il Gruppo è anche particolarmente attivo nel settore della finanza sostenibile dove, a partire dal 2017, ha emesso circa 2,5 miliardi di euro in relativi strumenti, in linea con i propri Green, Social e Sustainability Bond Framework. Dopo i Social Bond di 500 milioni, emessi nel 2017 e nel 2019 per la creazione di nuovi posti di lavoro a supporto delle PMI, e all’Hydro Sustainability Bond di 500 milioni, emesso nel 2018 per interventi di efficientamento e sviluppo della rete idrica nazionale, lo scorso febbraio ha emesso il suo primo Social Housing Bond di 750 milioni per finanziare interventi di edilizia residenziale per le fasce più deboli della popolazione.

Il Bilancio termina con il Manifesto di sostenibilità di CDP, sottoscritto da tutti gli Amministratori delegati delle società del Gruppo durante la Convention di fine anno dello scorso 19 dicembre, che impegna il Gruppo in azioni concrete entro il 2030 a favore del contrasto al cambiamento climatico, dell’innovazione e crescita delle imprese e dell’inclusività e benessere delle persone.

CDP non solo ha quindi dimostrato di puntare fortemente sulla sostenibilità come punto cardine per la sua strategia e le attività operative, ma di voler diventare nei prossimi anni il volano dello sviluppo sostenibile del nostro Paese.