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L’eredità di Alcide De Gasperi
vive, dopo 70 anni, in tutti
gli italiani che gli devono
Democrazia e Libertà

Messa in ricordo di Alcide De Gasperi

La Fondazione De Gasperi ha organizzato una Santa Messa in ricordo di Alcide De Gasperi, che si terrà il prossimo 19 agosto 2022 alle ore 10.00 presso la basilica di San Lorenzo fuori le mura, in Roma.

Presiederà la celebrazione S.E. il card. Giovanni Battista Re, decano del Collegio Cardinalizio.

Al termine della funzione sarà osservato un momento di raccoglimento davanti al monumento funebre che custodisce le spoglie mortali dello statista democristiano.

De Gasperi. Un disegno e un impegno per il governo della Repubblica

Nell’ambito delle iniziative organizzate dalla Fondazione De Gasperi per l’80° anniversario della nascita della Democrazia Cristiana, il 12 settembre si terrà l’incontro “De Gasperi. Un disegno e un impegno per il governo della Repubblica”.

L’evento avrà luogo nella Sala Zuccari a Palazzo Giustiniani, presso il Senato della Repubblica ed è reso possibile anche grazie al contributo del Ministero per la Cultura.

 

La Scatola del tempo

La prima ragione d’essere della Fondazione De Gasperi è la conservazione e la divulgazione dei valori e dell’opera di Alcide De Gasperi. 

Oggi più che mai, dopo che la morte della signora Maria Romana De Gasperi ci ha lasciati orfani di una testimone che ha dedicato l’intera vita per conservarne e diffonderne la memoria.

Per questo motivo, in occasione del 40° anniversario di attività della Fondazione, abbiamo scelto di inaugurare un nuovo progetto: la Scatola del Tempo. Ogni mese apriremo i nostri archivi e condivideremo una lettera, una fotografia o un documento dello statista democristiano certi che l’attualità del pensiero di De Gasperi possa ispirare e spronare ognuno di noi.

Vogliamo cominciare, oggi, con il messaggio che egli scrisse per il VI Convegno nazionale del Movimento femminile della Democrazia cristiana, che si tenne il 9 maggio 1954, pochi mesi prima della sua morte.

Ci sono 2 passaggi di questo discorso che ritengo significativi per l’attualità del messaggio.
Il primo è quello che mette in luce il valore delle donne nella politica nazionale nella loro missione di perseguire il bene comune con libertà e lucidità. De Gasperi afferma che il cuore della donna la chiamerà in prima fila, ovunque si tratti di elevare gli umili, di assistere i deboli, di dare coscienza alle nuove reclute del lavoro, ma il suo buon senso la terrà lontana dagli eccessi della demagogia faziosa e della violenza verbale.

Il secondo passaggio, che sembra riferirsi al presente, riguarda la politica internazionale e la necessità di ripensare all’unità dell’Europa e all’aiuto reciproco tra gli Stati per assicurare una pace che nessun trattato potrà mai far durare.

Quanti trattati – scrive De Gasperi – si conclusero tra il 1919 e il 1939? Credo una settantina, e al momento critico vennero considerati carta straccia. Si parla di trattati contro la bomba a idrogeno: ma chi garantirà il patto, se continua lo spirito di guerra che divide il mondo? Bisogna combattere il male alla radice, cioè contrastare, ridurre, distruggere, se possibile, lo spirito di violenza e di aggressione che porta alla guerra. 

Oggi più che mai, alla luce del conflitto russo-ucraino, siamo chiamati a riflettere su queste prospettive e a interrogarci sul tema della difesa comune dell’Europa e dell’intero Occidente.
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 Lorenzo Malagola
Segretario Generale
Fondazione De Gasperi

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19 agosto 1954 – 19 agosto 2021

«Adesso ho fatto tutto ciò ch’era in
mio potere, la mia coscienza è in pace. Vedi, il Signore
ti fa lavorare, ti permette di fare progetti, ti dà energia e
vita. Poi, quando credi di essere necessario e
indispensabile, ti toglie tutto improvvisamente. Ti fa
capire che sei soltanto utile, ti dice: ora basta, puoi
andare. E tu non vuoi, vorresti presentarti al di là, col
tuo compito ben finito e preciso. La nostra piccola
mente umana non si rassegna a lasciare ad altri
l’oggetto della propria passione incompiuto.»

Pochi giorni dopo aver detto queste parole alla figlia Maria Romana, il 19 agosto 1954 in Val di Sella Alcide
De Gasperi concludeva quella che era stata la sua “missione”
.

Una vita al servizio degli altri, caratterizzata dai valori che ancora oggi vivono nella Fondazione che porta il suo nome, nata proprio per volere della figlia per trasmetterli alle nuove generazioni.

Lo ricordiamo oggi nell’anniversario della scomparsa con una foto dell’Archivio storico della Camera dei Deputati che ritrae l’amico Robert Schuman in visita alla tomba dello statista trentino, rinnovando il nostro impegno quotidiano – condiviso con una comunità di uomini e donne che si riconoscono nei valori degasperiani e agli Amici che sostengono la Fondazione – a mantenere viva la sua testimonianza.

Maria Romana De Gasperi: “Papà dal carcere mi chiese di pregare la Madonna per lui”

di Corrado Occhipinti Confalonieri, pubblicato su “Maria con Te” – Dicembre 2020

 

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In occasione dell’uscita del libro di Alcide De Gasperi (1881-1954) “La vita di Gesù narrata alla figlia Maria Romana” (Morcelliana, 2020) abbiamo incontrato l’erede dello statista democristiano per conoscere un aspetto poco noto del padre: la profonda devozione verso la Madonna.

De Gasperi e la moglie Francesca avvicinarono alla fede le quattro figlie, la secondogenita Lucia divenne suora. Maria Romana (classe 1924), dalla memoria lucidissima, è dotata anche di uno spirito arguto. Nello scrivere la prima biografa del padre, non citò i nomi dei politici ma solo la carica ricoperta per ricordare un insegnamento ricevuto da lui: il politico è al servizio dello Stato, quando termina l’incarico, torna a essere un semplice cittadino.

«La mamma mi aveva detto che era in viaggio di lavoro, invece era stato imprigionato dai fascisti. Portava sempre con sé un’effigie della Vergine dentro una piccola custodia d’argento. Nel 1946, prima di parlare con i rappresentanti dei Paesi alleati a Parigi, entrò in Nôtre-Dame e invocò Maria. I nostri pellegrinaggi al santuario di Pinè e il libro nato dall’album che mi preparò per il Natale del 1927»

 

In che epoca suo padre Alcide le realizzò l’album sulla vita di Gesù?

“Nel 1927 mio padre si trovava a Roma in prigione per le sue idee antifasciste e non mi poteva regalare nulla per il Santo Natale. Non si sa come, gli capitò fra le mani una copia del National Geographic dei primi del ’900 che conteneva un reportage su Nazaret. Decise allora di ritagliare le fotografe e di spiegarmi la vita di Gesù con delle didascalie a commento delle immagini. All’epoca avevo solo quattro anni e non capivo le parole: me le leggeva mamma Francesca”.

Per quale motivo le fece un regalo così “da grande”?

“Lui voleva darmi la possibilità d’immaginare Gesù. Il libro contiene le foto dei luoghi in cui Cristo abitò con Maria e Giuseppe, vediamo i pastori, le pecore, ma non c’è nessuna immagine del Redentore. Siamo abituati a immaginare Gesù biondo, vestito di bianco, in realtà con questo album tutti lo possiamo immaginare come lo abbiamo nel cuore, magari con la pelle scura, con addosso abiti grigi o marroni. Per mio padre Alcide l’importante era la semplicità nel raccontare solo cose vere fino a quando da grande le avrei potute vedere e valutare”.

Come fece Francesco d’Assisi nel presepe di Greccio: non volle figuranti, ma solo il bue e l’asino e una mangiatoia vuota perché diceva che il presepe è custodito nel cuore di ciascuno di noi. Qual è l’immagine del libro cui è più affezionata?

“Senz’altro quella della fontana: quando venne scattata la foto era l’unica presente a Nazaret, così come lo era all’epoca di Maria. Mi emoziona immaginare la Vergine che tenendo per mano Gesù bambino, si reca a prendere l’acqua da quella sorgente”.

Suo padre amava la Madre Celeste?

“Si era affidato a lei, dalla prigione mi scriveva: “Mia cara Pupi, sii brava e prega tanto la Madonna per il tuo povero papà”. Io non sapevo che fosse incarcerato, mia mamma mi aveva detto che era in viaggio per lavoro. Terminata la prigionia, portava sempre me e le mie sorelle Lucia, Cecilia e Paola in pellegrinaggio dalla Madonna di Pinè».

Dove si trova questo santuario?

“Sorge in un bosco della media Valsugana, qui dal 1729 per cinque volte la Vergine apparve a una pastorella, Domenica Targa”.

Suo padre Alcide era legato a un’immagine in particolare della Madonna?

“Sì, teneva sempre con sé un piccolo portadocumenti argentato con all’interno l’immagine della Vergine. Ricordo che quando cambiava abito lo trasferiva subito di tasca, non usciva mai di casa senza”.

Recitavate con vostro padre il Rosario?

“Ricordo che lo facevamo per Pasqua, poi pregava per conto suo”.

Che cosa provava verso la Vergine?

“Si rivolgeva a lei quotidianamente, anche nei momenti difficili. Quando il 10 agosto 1946 si recò alla Conferenza di Parigi per tenere davanti agli alleati vincitori della guerra il discorso a sostegno della causa italiana, prima dell’incontro entrò nella basilica di Nôtre-Dame a pregare la Vergine. All’uscita mi disse: “Ecco, ora mi sento più tranquillo”. Quel giorno c’era freddezza da parte degli alleati. Al termine del suo intervento, solo il rappresentante americano gli strinse lamano, ma da quel gesto mio padre capì che era l’inizio della rinascita per la nostra Patria”.

Suo padre era devoto a un santuario mariano in particolare?

“A quello della Vergine di Loreto. Il 29 febbraio 1948, alla vigilia dell’importante tornata elettorale del 18 aprile di quell’anno, si recò da lei”.

Ricorda quel giorno?

“Mio padre proveniva da Ancona, aveva tenuto un importante discorso davanti a 80 mila persone. Giunto a Loreto in auto, entrò in Santa Casa, si mise in ginocchio e si raccolse in preghiera. Dopo aver visitato la basilica, uscì sul sagrato. Ad attenderlo c’erano migliaia di persone e improvvisò un discorso. Ad aprile vinse le elezioni: quando seppe della vittoria, commentò: “Mi aspettavo una pioggia di voti, non una grandinata”. Il trionfo delle forze democratiche contro quelle di ispirazione totalitaria garantì a mio padre quel consenso necessario che portò poi al boom economico”.

Anche sua madre Francesca era devota alla Madonna di Loreto?

“Sì, ormai vedova, il 24 maggio 1959 visitò il santuario in occasione del convegno “Le lavoratrici della Santa Casa”: io non potei parteciparvi perché impegnata con i miei due figli ancora piccoli”.

 

L’eredità di due padri dell’Europa

Questo articolo è l’ultimo di una serie di tre estratti della tesi di laurea magistrale in Studi Storici, Antropologici e Geografici dell’Università degli Studi di Palermo dal titolo “L’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Due fedi opposte e un ideale comune” del giovane Francesco Libotte. In queste righe, si approfondisce l’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli cercando di ricostruire come queste due figure così diverse hanno portato avanti il medesimo ideale dell’unificazione Europea.
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di Francesco Libotte

Le profonde differenze che separavano Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli non impedirono la particolare sintonia che si creò tra i due personaggi nella collaborazione alla costruzione del loro sogno comune. L’Europa unita. Infatti Spinelli, fondatore del Movimento Federalista Europeo, trovò in De Gasperi, europeista convinto, un interlocutore attento e disponibile all’ascolto, e contribuì così a rendere sempre di più il suo europeismo di tipo federalista.

Si può dunque dire che De Gasperi nutrì il suo federalismo anche delle elaborazioni di Spinelli. De Gasperi, fra l’altro, aveva una rara capacità di aprirsi agli apporti culturali provenienti da ambienti diversi, traendone tutto ciò che di positivo poteva venirne alla sua azione politica. Egli seppe recepire dalla cultura federalista quegli spunti istituzionali che senza difficoltà andavano a integrarsi nel suo iter formativo, facendone risultare un approccio ai temi europei assolutamente originale.

Si trattò quindi di un fecondo confronto di idee e di un reciproco arricchimento ed è forse in questa chiave e in questo sforzo di armonizzazione che va ricercata l’eredità più importante lasciata da De Gasperi e Spinelli. Infatti, sebbene non sia andato in porto il progetto che più avevano a cuore – la CED e il tentativo di una Federazione europea – resta infatti a futura memoria l’unità di intenti con cui i due padri dell’Europa, con fedi così distanti, lavorarono alacremente. Si può quindi affermare che fra i due padri fondatori, con storie e convinzioni così dissimili, vi sia stata un’unione di intenti e persino un’affinità maggiore di quanta ciascuno di loro ne trovò fra i propri compagni politici.

Questo vale certamente per De Gasperi, il cui federalismo non fu compreso e accettato da tutti, né all’interno della Democrazia Cristiana, né all’interno dei suoi governi, fra i suoi stessi Ministri. Ma vale anche per Spinelli, le cui tesi federaliste radicali furono difficili da digerire persino tra i membri del Movimento Federalista, oltre che fra le altre correnti europeiste. Condivisero pertanto, oltre ad un nucleo importante di idee, anche quello che spesso è il destino di molti precursori e visionari: l’essere difficilmente compresi dai loro contemporanei.

L’idea di Europa in De Gasperi e Spinelli

Questo articolo è il secondo di una serie di tre estratti della tesi di laurea magistrale in Studi Storici, Antropologici e Geografici dell’Università degli Studi di Palermo dal titolo “L’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Due fedi opposte e un ideale comune” del giovane Francesco Libotte. In queste righe, si approfondisce l’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli cercando di ricostruire come queste due figure così diverse hanno portato avanti il medesimo ideale dell’unificazione Europea.
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di Francesco Libotte

La grande differenza di pensiero, nonché le diverse convinzioni in antitesi, non impedirono ad Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli di condividere il comune sogno europeista. Si potrebbe osservare come, nonostante la notevole distanza che separa i due personaggi, si sia creata una sintonia, in particolare, attorno a tre questioni concernenti il progetto di uno stato europeo.

La prima attiene al “tipo” di europeismo. Entrambi imboccarono infatti con convinzione la soluzione propriamente federalista, nella consapevolezza che fosse distinta dalla strada funzionalista e da quella confederale, restia ad accettare effettive limitazioni di sovranità nazionale in favore di istituzioni sopranazionali.

Il punto non fu di carattere teorico. Si trattava di considerare la costruzione europea come un effettivo processo di devoluzione di competenze statali alle istituzioni federali. Non bastavano istituzioni europee in cui ogni Paese trovasse la sua rappresentanza attraverso i propri governanti, ma di istituzioni europee tendenzialmente indipendenti dagli Stati. Il principio federalista richiedeva infatti la creazione di un’autorità politica svincolata dagli interessi dei singoli Stati, che andasse oltre la mera cooperazione e fosse autenticamente sopranazionale.

La seconda attiene alla democrazia. De Gasperi e Spinelli si trovarono infatti all’unisono non solo sul federalismo in senso autenticamente inteso, ma anche su di un aspetto non marginale, attinente alla rappresentatività delle istituzioni europee, ossia alla loro reale democraticità. Per entrambi, infatti, l’Europa avrebbe dovuto unire e rendere interdipendenti non solo i governi, ma anche i popoli. Gli stessi cittadini europei avrebbero dovuto consapevolmente partecipare a questa integrazione, attraverso il voto e attraverso istituzioni giuridiche federali che rendessero possibile la rappresentanza popolare, come il Parlamento europeo. I due padri fondatori avevano chiaro come l’unione europea dovesse essere un’opera realizzata dagli stessi popoli europei e non dalle varie agenzie specializzate, dalle diplomazie o da efficienti burocrazie sopranazionali.

La terza questione concerne la prospettiva sociale. Il federalismo di De Gasperi e Spinelli significava anche giustizia ed equità nelle relazioni fra i soggetti del nuovo ordinamento europeo. La fine del dogma della sovranità statale doveva infatti significare un cambiamento nelle relazioni economiche e nei rapporti di lavoro, e quindi un miglioramento delle condizioni di povertà e di disoccupazione del dopoguerra. L’Europa federale significava per loro una società più umana, tollerante, giusta e politicamente libera. L’aspetto della giustizia sociale fu dunque un ulteriore elemento di unione, sebbene fossero molto differenti i fondamenti dottrinali ed etici su cui si basava.De Gasperi si ispirava infatti alla dottrina sociale cristiana e ai suoi principi di dignità della persona, di solidarietà, sussidiarietà e bene comune. D’altra parte era altresì certo che la condizione di base per una convivenza pacifica passasse attraverso l’armonizzazione delle diverse correnti di pensiero. E che pertanto tutte – sia il liberalismo, sia il socialismo, sia il cristianesimo – fossero indispensabili per cementificare l’unione del continente. In uno dei suoi ultimi discorsi tenne a ribadire come l’essenza dell’internazionalismo fosse la sintesi storica di fattori ideologici diversi, ognuno dei quali arreca elementi giuridici, sociali e spirituali atti a promuovere l’unità e la pacifica collaborazione delle genti.

Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli: due fedi opposte e un ideale comune

Questo articolo è il primo di una serie di tre estratti della tesi di laurea magistrale in Studi Storici, Antropologici e Geografici dell’Università degli Studi di Palermo dal titolo “L’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Due fedi opposte e un ideale comune” del giovane Francesco Libotte. In queste righe, si approfondisce l’idea di Europa in Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli cercando di ricostruire come queste due figure così diverse hanno portato avanti il medesimo ideale dell’unificazione Europea.
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di Francesco Libotte

Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, nonostante la differenza di ruoli e di funzioni, di responsabilità politiche e, anche, di visione sociale, di credo e, non ultimo, di età, hanno apportato un contributo di primaria importanza per la costruzione dell’integrazione europea, anche collaborando insieme in alcune occasioni.

Il loro pensiero europeista però non può essere compreso appieno senza considerare il vissuto storico in cui operarono e si formarono queste figure e durante il quale si delineò la persuasione di questo ideale. De Gasperi, di origine trentina, visse il contesto multietnico e multinazionale dell’impero austroungarico, anche svolgendo incarichi politici, battendosi per la minoranza italiana che rappresentava e questo fu poi fondamentale per la sua concezione di un’Europa dei popoli. Allo scoppio della Grande Guerra si trovò quindi in una prospettiva particolarmente difficile, come uomo di frontiera fra l’Impero austroungarico e l’Italia e durante e dopo il conflitto si impegnò per salvaguardare la sicurezza e i diritti dei trentini.  Subì poi pesantemente le conseguenze del ventennio fascista, che per lui significò il carcere, la persecuzione, il nascondimento, lo scioglimento del partito in cui militava.

Altiero Spinelli visse invece il fascismo e la seconda guerra mondiale da giovanissimo militante comunista, come tale ricercato, imprigionato e confinato. Proprio gli studi condotti negli anni del carcere lo condussero però ad allontanarsi dal marxismo e dalle relative interpretazioni della realtà economica e sociale, per elaborare una prospettiva politica progressista autonoma e del tutto nuova, di cui la prima manifestazione fu il Manifesto di Ventotene, scritto durante la prigionia insieme ad Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nel 1941. Lo scenario successivo alla seconda guerra mondiale fu caratterizzato da profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali, che coinvolsero non solo il nostro Paese, ma le principali Nazioni europee: tutto era da ricostruire in un quadro internazionale contrassegnato dalle nuove tensioni e incertezze dell’inizio della guerra fredda e della divisione del mondo per aree di influenza.

In questo contesto Alcide De Gasperi fu in grado di condurre il Paese, sconfitto dalla guerra, nell’area occidentale, e di ottenere che all’Italia fosse riconosciuta la dignità propria di una delle principali Nazioni dell’Europa continentale e, anche, il supporto economico, in particolar modo degli Stati Uniti. La questione dell’unità europea, in questo quadro, fu ritenuta da De Gasperi la condizione necessaria per una pace duratura, oltre che per l’autonomia politica italiana. La costruzione della federazione europea divenne così il perno dell’attività politica dello statista trentino e, in questo, i suoi obiettivi politici si trovarono a coincidere con quelli di Altiero Spinelli, per quanto il percorso personale e la formazione politica di quest’ultimo divergessero notevolmente da quelli di Alcide De Gasperi.

Spinelli infatti, inizialmente nelle file del Partito Comunista, se ne discostò, come si è detto, sempre di più, fino a divenire apertamente anticomunista. Ritenne infatti di dover attuare tutt’altra rivoluzione: quella volta a creare un nuovo Stato federale ad opera di forze popolari e democratiche, unica strada politica per eclissare definitivamente la sovranità nazionale, causa principale di guerre, conflitti e divisioni. Il Movimento Federalista Europeo, fondato per intuizione dello stesso Spinelli, divenne un punto di riferimento importante per De Gasperi. Quest’ultimo trovò così nei federalisti e, in particolare, nei memorandum di Spinelli, linee d’azione e programmi concreti, strategie istituzionali e propriamente costituzionali per giungere a creare organi comuni europei effettivamente indipendenti dai governi nazionali.