Skip to main content
L’eredità di Alcide De Gasperi
vive, dopo 70 anni, in tutti
gli italiani che gli devono
Democrazia e Libertà

“La Banca d’Italia e l’Economia. L’analisi dei governatori”. Per una storia economica del Paese

Di Emanuele Lorenzetti

 

Dal 1947 l’annuale Relazione proposta dal Governatore all’assemblea dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia si è arricchita delle “Considerazioni finali”. Queste pagine conclusive riassumono gli elementi fattuali e analitici contenuti nel corpo della Relazione. Soprattutto danno al Governatore l’opportunità di esprimere in forma sintetica e con un diverso, personale linguaggio la propria visione degli accadimenti, dei problemi, delle soluzioni. […] Lungo settant’anni le Considerazioni degli otto Governatori della Banca d’Italia che dal 1947 al 2017 si sono succeduti offrono uno spaccato – storico appunto – della vicenda, non solo economica, italiana e mondiale”.

È con queste parole che Pierluigi Ciocca e Federico Carli, co-autori de “La banca d’Italia e l’Economia. L’analisi dei governatori”, introducono la loro pubblicazione a motivazione dell’opera omnia sull’Istituto di Via Nazionale. Si tratta di un’opera suddivisa in sei tomi che raccoglie tutte le Considerazioni finali pronunciate dai governatori della Banca d’Italia, dalle prime di Einaudi alle ultime di Visco, passando per Menichella, Carli, Baffi, Ciampi, Fazio e Draghi.

La Banca d’Italia ha sempre rivestito un ruolo di primo piano nel Sistema Paese, garantendo stabilità non solo economica, ma politica ed istituzionale. A detta di Federico Carli, nipote dell’ex Governatore Guido Carli, questa opera “vuole essere innanzitutto un omaggio e uno strumento per preservare il prestigio di una istituzione fondamentale della Repubblica”. Numerosi sono i fatti storici documentati con estrema chiarezza, profondità intellettuale ed informazioni statistico-econometriche che, legati tra loro, sottendono un filo rosso che ricostruisce la storia economica del Paese. A partire da Donato Menichella “banchiere e capitano d’industria”, così viene definito dagli autori Federico Carli e Pierluigi Ciocca, che resse da Direttore Generale la Banca d’Italia nel periodo giugno 1947/maggio 1948 con Luigi Einaudi governatore, negli anni della ricostruzione democratica ed economica del Paese. Erano anni difficili quelli del dopoguerra, durante i quali l’obiettivo primario era preservare la stabilità monetaria. Obiettivo, rammentano gli autori, che Menichella riuscì a raggiungere in quanto “il livello dei prezzi ingrosso, seppure fra oscillazioni, nel 1959 era lo stesso del 1947.”

Ma Menichella è ricordato anche per essere stato tra i protagonisti della cosiddetta stabilizzazione monetaria del 1947 insieme allo statista Alcide De Gasperi, il quale durante il suo quarto gabinetto ebbe il grande merito di ripristinare quella fiducia necessaria all’azione di governo, consentendo l’implementazione della strategia antinflazionistica nota come “Linea Einaudi”. Insomma un pezzo di storia italiana, un esempio vincente di collaborazione istituzionale tra politica, alta dirigenza pubblica e Banca d’Italia, in cui le migliori menti vollero unirsi per delineare strategie comuni di lungo periodo, nell’unico intento di consentire il progresso e lo sviluppo economico del Paese. Insomma, come si ebbe modo di definire altrove,è stato il “primo esempio di collaborazione tra politici e tecnici nell’Italia repubblicana”.

Ebbene una collaborazione istituzionale, quella tra l’Istituto di emissione centrale e le altre istituzioni pubbliche e private, che abbraccia tutte le fasi dell’arco costituzionale italiano.Se allora, nel dopoguerra, il tema prioritario era la garanzia della stabilità monetaria, negli anni a seguire in via Nazionale si dovette seguire molte altre questioni economiche. Se con Menichella gli sforzi convergevano su come far ripartire l’economia dopo le devastazioni della guerra, negli anni Sessanta l’economia italiana viveva una fase di splendore. L’alta dirigenza economica italiana si doveva porre la domanda: quale politica economica necessaria a seguire il formidabile sviluppo di quegli anni? Sono gli anni del governatorato Guido Carli in via Nazionale che “lasciò un’impronta marcata su tutti gli ambiti in cui una banca centrale è chiamata a operare: sull’economia internazionale, non solo europea, nella quale l’economia italiana si andava integrando sempre più saldamente, attraverso l’ascoltato contributo analitico, la costante opera di proposta, l’incisiva cooperazione sullo scacchiere finanziario mondiale; sull’attività di indagine statistica e sul governo dell’economia nazionale; sullo studio, la supervisione e l’orientamento del sistema creditizio e finanziario; sulla gestione e modernizzazione dell’Istituto”. Carli, economista lungimirante, fu però tra i primi a intravedere i segni di contraddizione della struttura socioeconomica italiana di quegli anni, quando ancora non erano visibili. Esperto di questioni monetarie internazionali, Carli contribuì inoltre all’internazionalizzazione della Banca d’Italia. Seguì con attenzione gli sviluppi con il crollo dell’ordine monetario internazionale istituito a Bretton Woods, in cui egli “manifestò perplessità sulla possibilità di ricostituire un sistema monetario mondiale basato sul principio della universalità, individuò la soluzione nell’istituzione di grandi aree valutarie che offrissero strumenti di regolamento dei pagamenti internazionali atti a facilitare il processo di aggiustamento tra vasti aggregati: Stati Uniti, Comunità economica europea, Giappone, paesi produttori di petrolio, paesi emergenti. Le fluttuazioni dei tassi di cambio tra grandi aree avrebbero dovuto rispecchiare l’andamento delle bilance dei pagamenti e non subire brusche oscillazioni provocate da flussi di capitali a breve termine”. Guido Carli è considerato da tutti Il Governatore, a lui infatti furono riconosciute doti manageriali sofisticate. Come scrivono Federico Carli e Pierluigi Ciocca, “Einaudi ripristinò l’indipendenza della Banca d’Italia, Menichella la consolidò, Carli la accrebbe”.

Ma quel prestigio e quegli alti splendori dell’Istituto di via Nazionale sotto la guida di Carli trovarono negli anni a venire una serie di eventi negativi come la vicenda Fazio dove “la Banca d’Italia non fu in condizione di ottenere il consenso del Presidente del Consiglio Berlusconi, del Ministro dell’Economia Tremonti e del Capo dello Stato Ciampi per una successione interna al vertice dell’Istituto.” Pertanto, la scelta ricadde su di un uomo esterno come Mario Draghi, il quale dovette avere come obiettivo primario il dover “ristabilire un clima di normalità”. È lo stesso Draghi a dire nel 2006: “A me (…) stava, sta, la responsabilità di accompagnarla nel ritorno al prestigio di cui ha sempre goduto; di guidarne il cambiamento in un contesto nazionale e internazionale profondamente diverso da quello che ha caratterizzato la sua storia”. Oltre a ciò, il Governatore Draghi ebbe come obiettivo primario il dover tornare alla crescita dell’economia nazionale: egli disse “La crescita economica del nostro paese è stata il mio punto fisso” (2011).

Tutti questi aneddoti, storie di vite ma soprattutto storie di persone che, attraverso la loro alta preparazione intellettuale, anteposero e tutt’ora antepongono l’interesse generale su quello particolare, ci aiutano a comprendere che la Banca d’Italia è tra le migliori istituzioni che il Sistema Paese abbia mai potuto avere. Il forte monito va alla politica, che sappia vedere in Via Nazionale un baluardo imprescindibile per il progresso e lo sviluppo dell’Italia. Ed anche quando tutto sembra andare bene ascolti i moniti che il Governatore sintetizza nelle sue “Considerazioni finali”.

 

 

Green Economy: il potenziale dell’economia circolare. Parla Daniele Corsini

di Ludovica Pietrantonio

L’adozione della green economy auspica al passaggio a una società equa e prospera, capace di reagire alle sfide legate ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale migliorando la qualità della vita delle generazioni presenti e future. Al fine di valutare le potenzialità di tale sistema economico, non solo per l’economia nazionale, ma anche dell’Unione Europea, si è indagato uno dei suoi principali strumenti applicativi, rappresentato dall’economia circolare, con il Dott. Daniele Corsini, ex Direttore in Bankitalia e co-fondatore della piattaforma editoriale www.Economia&Finanza Verde.it. 

Tra gli strumenti più idonei ad attuare il modello della green economy si rinvengono meccanismi tipici dell’economia circolare che contribuiscono a modernizzare il mercato e a valorizzarne potenziali opportunità di sviluppo a livello europeo e mondiale. Quali, a suo avviso, gli obiettivi perseguibili?

Ai fini di una più completa analisi dell’economia circolare, è necessario considerare come tale concetto sia strettamente connesso a quello di green economy, da intendere come modello economico teso al soddisfacimento di aspetti attinenti al benessere sociale e alla preservazione delle risorse.L’economia circolare porta indubbiamente degli effetti benefici, sia per il governo delle risorse, mediante un loro utilizzo più razionale, sia per i cicli produttivi, avendo come effetto quello di gestire meglio le risorse produzionali attraverso il risparmio delle stesse, l’utilizzo di fonti alternative e di reingegnerizzazione dei processi produttivi, con l’obiettivo non più dello smaltimento del rifiuto, ma della sua gestione, riuso e riutilizzo nel circuito.

Da ciò si intuisce la pervasività di tale approccio poiché va a toccare tutto quello che in potenza l’uomo può produrre, ha prodotto o produrrà con l’idea che fin dalla sua progettazione il bene viene ideato non soltanto per le sue finalità (l’utilizzo da parte del consumatore), ma soprattutto dal punto di vista della sua riutilizzabilità e della sua rimessa in circolazione.

Ne deriva come questo sistema produttivo porti con sé degli aspetti di natura tecnica ed economica importanti avendo la ricerca tecnico-scientifica un ruolo fondamentale: ricerca e innovazione diventano dunque l’essenza per realizzare l’economia circolare poiché tutto è finalizzato all’obiettivo della ricircolazione. Tuttavia è necessario considerare come questo approccio si presenti per la sua innovatività più come uno scenario che come un percorso misurabile in obiettivi operativi.

 Sempre in un’ottica di implementazione dell’economia circolare, per conseguirne gli obiettivi è necessaria la piena mobilitazione dell’industria, la cui trasformazione risulta spesso troppo a rilento. Come accelerarla?

Questa è una domanda difficile poiché effettivamente dobbiamo ascoltare dei ritmi che ancora non sono soddisfacenti in questo sviluppo. Inoltre, è da tenere in considerazione come i concetti sottesi di riciclo e di utilizzo abbiano rovesciato il paradigma dell’economia tradizionale, imperante dal capitalismo della fine del settecento fino ad oggi, dettata dalla massimizzazione del profitto. Quindi in teoria è qualcosa di estremamente esteso poiché tocca il concetto dell’organizzazione della vita economica non più legata al solo parametro quantitativo, bensì bisognosa di trovare dei meccanismi di sua reinvenzione.

Concentrandosi in primo luogo sugli operatori, la velocità dipende da come è formata una struttura economica, tant’è che è necessario fare riferimento alla piccola e media impresa, segmento particolarmente diffuso e numeroso all’interno dell’economia italiana, il quale può diventare fattore di resistenza. Infatti, se per l’impresa medio grande questo approccio può avere una velocità maggiore, essendo maggiori le capacità di produzione e di progettazione, nella piccola e media impresa questa attività dovrà essere incentivata in maniera più massiccia.

Anche in riferimento all’economia digitale, strettamente connessa alla capacità di sfruttare l’informazione sulla produzione, l’Italia non è un Paese all’avanguardia e quindi tutta la spinta di Industria 4.0 di facilitare l’introduzione di sistemi digitalizzate e intelligenza artificiale rappresenta uno sforzo maggiore rispetto ad altri Paesi.

Un ulteriore elemento consente alcune riflessioni dal punto di vista finanziario, in quanto il tema della finanza verde è oggi messo particolarmente in risalto dalle banche centrali europee, le quali leggono un’economia che sfrutta in eccesso le risorse del pianeta come fattore di rischio, andando ad incidere il rapporto di finanziamento.

A livello microeconomico, è opportuno richiamare alcune recenti riflessioni del governatore della Banca d’Italia, il quale si è soffermato proprio sull’incidenza degli indicatori ambientali (emissioni CO2), sociali (percentuale di donne impiegate e ricoprenti ruoli manageriali) e di governance (presenza di donne in cda) nel guidare i singoli investimenti, comportando il favore per titoli sostenibili.

Al riguardo, ricordo come l’Italia sia stato il primo Paese ad introdurre nell’ordinamento giuridico il concetto di “società benefit”, ovvero società che inseriscono nel loro statuto i criteri appena ricordati rinunciando ad una massimizzazione del profitto con l’obiettivo di contribuire ad un’economia più sostenibile.

 Da sfida pressante a opportunità unica: qual è il ruolo dell’Unione Europea in un cambiamento che non può arrestarsi ai confini nazionali e che deve trovare riscontro nelle politiche dei singoli Stati? Di quale risorse dispone per affermarsi come leader mondiale?

L’Europa ha fatto proprio un piano di azione sull’economia circolare che punta sui concetti fondamentali di riprogettazione dei prodotti, riutilizzo e riciclo e in cui sono coinvolti diversi operatori. Al riguardo, si è assistito alla nascita di nuovi soggetti istituzionali come attori, mi riferisco alla BCE a livello europeo e alle banche centrali nazionali, i quali hanno aperto un filone rivolto al tema dell’economia circolare sensibile al degrado climatico e ambientale con politiche precise. È necessario dunque che si crei una sintesi tra i soggetti di mercato e i soggetti istituzionali.

Andando al piano del mercato e della finanza uno strumento è rappresentato dai bond verdi, pari a un valore di circa 500 miliardi a livello mondiale di cui l’Europa possiede più del 50%, rapportandosi in tal modo in maniera decisamente avanzata al riguardo. Esistono, tuttavia, altri tipi di bond legati alla sostenibilità e soprattutto legati al credito, per esempio i “sustainability bonds”, ideati per consentire credito da parte delle banche a soggetti che hanno nella propria struttura elementi di sostenibilità. Sono prodotti destinati ai agli investitori istituzionali, professionali e specializzati, non destinati al grande pubblico, poiché per questi prodotti i profili di rischio non sono ancora valutabili.

In riferimento alle politiche da adottare, l’aspetto della ricerca e dello sviluppo precedentemente sottolineato diventa fondamentale come campo di applicazione di incentivi pubblici di natura o fiscale o di contributo allo sviluppo di questa attività.

Accanto a questo aspetto del tutto rilevante, è necessario considerarne uno ulteriore di natura sociale, ovvero di considerare l’economia circolare come fonte di nuovi posti di lavoro. Essa va infatti vista come sostanzialmente labour intensive, ovvero attività ad alto impiego di lavoro materiale, differentemente dall’economia lineare in cui il progresso tecnologico è sempre stato considerato come qualcosa che spenda forza lavoro, facilmente sostituibile con macchine.

Attorno a questi concetti sono costruiti i documenti di policy oggi presenti a livello globale rappresentati non solo dal piano di azione dell’economia circolare della Commissione Europea e, conseguentemente dalle politiche nazionali, ma anche l’Agenda dell’ONU, la quale fissa gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ed Economia Circolare al 2030.

La nuova strategia di crescita rappresentata dalla green economy mira a trasformare la società dotandola di un’economia moderna, efficace sotto il profilo delle risorse e competitiva. Tuttavia è necessario che la transizione verso tale modello sia non solo innovativa e a impatto zero, ma allo stesso tempo giusta e inclusiva per far sì che i cambiamenti sostanziali derivanti non comportino disuguaglianze e squilibri sociali. In che modo guidare questa innovazione verso un esito positivo?

Nei fondamenti della green economy i motori sottostanti l’adozione di questo modello e, dunque, pilastri dello stesso sono rappresentati anche dalla disparità sociale e dagli squilibri di distribuzione del reddito eccessivamente scompensante, entrambe cause di esclusione sociale.

Attraverso l’adozione del modello green economy si devono quindi ritrovare anche degli obiettivi di inclusione, i quali richiamano parte della logica sottostante le società benefit antecedentemente esaminata. Infatti, al riguardo si sostiene come i portatori di interesse (gli stakeholders) non siano soltanto quelli tradizionali, cioè gli azionisti, i fornitori, i dipendenti, ma anche i soggetti rientranti nel mondo del lavoro.

Da un punto di vista finanziario, la crisi e altri fenomeni di tali dimensioni hanno escluso al momento una fetta di cittadini dai servizi più basici. L’Unione Europea con le sue direttive è intervenuta su questo bisogno di inclusione per parificare questi soggetti da un punto di vista di diritti di base.

Dunque dal punto di vista della green economy il discorso si riflette in maggiori occasioni di lavoro e maggiore attenzione ai territori più degradati. È infatti da mettere in conto anche un probabile cambio di concezione del lavoro in cui prevarranno i lavori a distanza, attualmente già esistenti, ma esempi di nicchia.

In sostanza, la tutela ambientale rappresenta un fattore di inclusività di sfondo, da considerare come occasione preziosa di cambiamento di paradigma non soltanto a livello economico-finanziario, ma anche di natura sociale.

Decarbonization by 2050: Opportunities for a Green Economy under the Italian G20 Presidency

By Celine Bak

Along with the EU, the UK and France, Italy is one of only four G20 members to make a long-term commitment to net zero emissions by 2050.[i] This makes the Italian G20 Presidency, which commences in 2021, a unique platform on which to build the political trust and confidence needed to seize the opportunities presented by a green and decarbonized economy.

 

The G20 is responsible for 85 percent of global economic activity and 78 percent of the heat-trapping emissions currently accumulating in the atmosphere. In the special report on 1.5°C of warming, the International Panel on Climate Change (IPCC) is clear that if we are to minimize climate risks and hold warming to 1.5°C, we must decarbonize the economy by 2050. Doing so will stave off the risk of us crossing natural tipping points, beyond which the Earth’s systems will experience largely irreversible change.[ii]

 

The current emissions gap is large – so large that if decarbonization of human activity were a war effort, we should today fear defeat. Global CO2 emissions are at an all-time high, up 2.7 percent in 2018 after a rise of 1.6 percent in 2017.[iii] Madrid’s COP25 provided no indication of the trust and political confidence needed to address the dangers posed by these less-than-sufficient national commitments (known as nationally determined contributions, or NDCs) to emission reductions by 2030 and carbon neutrality for all developed economies by 2050. This trust and political ambition is fundamental to the task before us. The Paris Agreement is a framework intended to build up confidence within and among its parties to enable coordinated, country-level commitments that together achieve sufficient emissions reductions to keep temperatures from rising above safe levels indicated by the best available science.[1]

 

Now twice-failed COP25 negotiations on carbon markets that would work to coordinate exchanges of emissions reductions show how much work remains to be done to rebuild the trust needed to limit temperature rises to safe levels.

 

The EU showed leadership during COP25 by announcing its Green Deal – the EU’s growth strategy for the coming decade. Europe’s commitment to be the first climate-neutral continent turns on transforming an urgent challenge into a unique opportunity. The Commission indicated that “above all, the European Green Deal sets a path for a transition that is just and socially fair … [one] designed to leave no individual or region behind in the great transformation ahead.”[iv]  The Green Deal would “protect, conserve and enhance the EU’s natural capital, and protect the health and well-being of citizens from environment-related risks and impacts.”[v]

Today, the decarbonization targets set by G20 countries are aligned with 3°C of heating by 2100. The human impact of this level of warming would be profound, with critical water shortages five times greater at 3°C of heating compared to 1.5°C. Other expected impacts include a near doubling of days with heat above 50°C, from 30 to 50 per year, when compared to 1.5°C of heating. Along with land-management practices, Australia’s deadly and economically devastating wild fires are a result of exactly this type of hotter, dryer weather over longer periods. Shorter growing seasons, an increase in the spread of insect-borne diseases, drought, extreme rainfall and food scarcity are just some of the other negative impacts that we can expect at our current trajectory.[vi] Recent medical research is clear: without decarbonization, climate change will be the determining factor in the health of children born today.[vii]

 

In its recent report on the economic impacts of climate change, the Network for Greening the Financial System concluded that estimates for the physical effects of climate change on the macro-economy between now and 2100 indicate a risk of large negative consequences, ranging from 1.5 to 23 percent of global annual gross domestic product (GDP) per capita.[viii] As US Fed Governor Lael Brainard recently stated, “To fulfill our core responsibilities, it will be important for the Federal Reserve to study the implications of climate change for the economy and the financial system and to adapt our work accordingly.”[ix]

 

But if the risks of failing to decarbonize the global economy are great, so are the opportunities that we could expect from making a decarbonized global economy business as usual. This is so particularly at a time when major economies are seeking a pro-investment agenda and the financial stability risks of continued investment in companies and projects which could be made worthless by climate policy or impacts are increasingly clear. According to the Global Commission on the Economy and Climate, the shift to a green economy could create US$26 trillion in benefits and 65 million jobs by 2030.[x]  This opportunity must be kept in sight along with the value of trillions of dollars of assets which could be whipped out through the policy responses required to address to keep the rise in temperatures to safe levels.[xi]

 

Businesses are recognizing this opportunity. On the basis of the Marrakesh Partnership, a platform for voluntary contributions to reducing emissions under the United Nations Framework on Climate Change (UNFCCC), corporations are voluntarily establishing climate-science-consistent business plans.[xii] These companies, which have set Paris-aligned decarbonization targets, are reporting improved brand reputation, increased investor confidence and competitive advantage in the marketplace. The scope and scale of these commitments are noteworthy. Nine hundred companies are part of this platform, of which over 400 are developing plans to decarbonize in line with the Paris Agreement, with 177 committing to decarbonizing their operations by 2050.[xiii] Their total market capitalization is $20 trillion, or about a quarter of global GDP.[xiv] Similar commitments are now being made by financial institutions, including banks and global asset managers.

 

Building the decarbonized economy and the financial system it needs will require bold and ambitious government policies. Under the Italian G20 Presidency, policymakers, the private sector and civil society could work together to build confidence in the potential of the green and decarbonized economy. This could be done by setting a clear pathway for a transition to net-zero GHG emissions by 2050 that ensures social inclusion and takes care of workers in high-carbon industries. The G20 could advance this imperative through a pro-investment agenda for decarbonization. This is critical to support strengthening NDCs and 2030 targets in line with decarbonization by 2050 for countries for advanced economies and by 2060–70 for countries with developing economies.

 

A key to stimulating investment aligned with long-term sustainability is establishing regulatory certainty to build confidence in new investment norms and behaviours by backing these plans and targets with ambitious sectoral goals and policies, such as the following:

  • Scaling up renewable energy deployment to achieve a 100 percent clean power system by 2040, establishing a near moratorium on coal finance and new coal plants, and setting an ambitious coal phase-out date of 2030 for advanced economies and 2040 for all other G20 members.
  • Setting 2030 as the phase-out date for internal combustion engine vehicles while providing investment in decarbonized public transportation, in electric vehicle (EVs) infrastructure and fiscal incentives for EVs.
  • Establishing a forum for the decarbonization of heavy emitting sectors such as steel, aviation, trucking and shipping, as well as mining and oil & gas through public-private collaboration.
  • Transitioning to a land system that supports a decarbonized economy and can feed a growing population with sustainable ecosystems and healthy communities, including through climate-smart agricultural practices and ending deforestation.
  • Addressing the social impacts of decarbonizing the economy and adapting to the climate impacts already faced, leaving no one behind.
  • Building resilience against climate impacts for the communities that support value chains globally by investing in adaptation, including through nature-based solutions and biodiversity.

 

These sectoral plans and targets will deliver the full rewards of growth if they are implemented in the context of a G20 sustainable finance agenda which should include the reforms needed to:

 

  • Support a pro-investment agenda in clean infrastructure which pulls through innovation and improves the health and lives of citizens.
  • Ensure inclusive access to capital particularly for regions whose economies are highly exposed to hydrocarbon-based energy.
  • Modernize financial regulations that drive corporate focus on short-term profit rather than long-term sustainability.
  • Assure the protection of savers from the action of financial institutions that continue to invest in projects whose value may be wiped out by decarbonization policies and climate effects.

 

Italy’s G20 green economy agenda should be focused on building trust and confidence, including through leveraging progress on the EU’s Green Deal as well as the preparations and achievements of the UK and Italy’s collaboration on COP26 in Glasgow in December 2020. This should include integrating the long-term sustainability and the green economy agenda across all ministerial meetings. Because of the urgency of the climate crisis, and the need to accelerate the translation of science into the widest possible spectrum of policy changes, roles are evolving quickly. For example, a large measure of the EU’s quick progress on the Green Deal and before that on the Action Plan on Financial Sustainable Growth, is the result of its strong youth and civil society, which increasingly combine building and translating evidence for policy, engagement and advocacy with policy makers with the traditional role of education of and engagement with citizens. Creating mechanisms to raise the impact of youth and civil society will increase the impact of Italy’s G20 Presidency on the green economy.

 

Building a prosperous, decarbonized economy by 2050 requires a transformation of unprecedented pace and scale – one similar to that needed to win World War II. This transition is achievable, but only when there are new, collectively inspired ways of working. This can happen when public-sector, private-sector and civil-society leadership positively reinforce each other. As a clear leader through its commitment to decarbonization by 2050, Italy, through its G20 presidency, can build up trust among G20 members and provide an example of ambitious government policies for the Green Economy to stimulate the private, public, and political investments needed to achieve the full ambition of the Paris Agreement and bring to society all the benefits of the Green Economy.

 

For information please contact:

Céline Bak celine.bak@analytica-advisors.com

+1 613 866 9157

[1] Article 2 lays out the aim of the Paris Agreement as “strengthen[ing] the global response to the threat of climate change, in the context of sustainable development and efforts to eradicate poverty, including by holding the increase in global average temperature to well below 2°C above pre-industrial levels and pursuing efforts to limit the temperature increase to 1.5°C above pre-industrial levels, recognizing that this would significantly reduce the risks and impacts of climate change.” Science published in 2018 and 2019 through the IPCC indicates that a 1.5°C rise in temperature – not 2°C – should be considered safe. Compared with current annual emissions of 55 Gigatonnes CO2 Equivalent (GtCO2e), in 2030, annual emissions need to be 58 percent lower (a 32 GtCO2e reduction) for the 1.5°C goal and 27 percent lower (a 15 GtCO2e reduction) for the less safe goal of 2°C. See https://www.unenvironment.org/interactive/emissions-gap-report/2019/ for a summary.

[2] Negotiations on Article 6 carbon markets were pushed to 2020 after the 2018 negotiations at Katowice failed. Defeated proposals for global carbon markets centered on safeguards for human rights, including indigenous rights, mechanisms to finance the cost of climate change through a share of the proceeds of carbon trading, mechanisms to ensure no double counting of emissions reductions, assure overall reduction of emissions and limit credits from the previous emissions-trading regime.

[i] https://www.bbc.com/news/science-environment-50547073?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=c9ca9547c3-briefing-dy-20191126&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-c9ca9547c3-44530773

 

[ii] https://www.ipcc.ch/sr15/

 

[iii]  https://www.scientificamerican.com/article/co2-emissions-reached-an-all-time-high-in-2018/

 

[iv] https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en

 

[v] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:52019DC0640&from=EN

 

[vi]  https://www.climate-transparency.org/g20-climate-performance/g20report2019

 

[vii] https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)32596-6/fulltext

 

[viii]  https://www.bankofcanada.ca/2019/11/researching-economic-impacts-climate-change#footnote-ref-1

 

[ix]  https://www.theglobeandmail.com/business/economy/interest-rates/article-federal-reserves-lael-brainard-says-climate-change-poses-profound/

[x] https://www.sei.org/projects-and-tools/projects/global-commission-on-the-economy-and-climate/

 

[xi] https://www.cnn.com/2019/12/09/economy/climate-change-company-valuations/index.html

 

[xii] https://unfccc.int/climate-action/marrakech-partnership-at-cop-25

 

[xiii] CDP and the World Resources Institute are responsible for the protocols for these commitments and for vetting each company’s decarbonization plan.

 

[xiv]  https://www.wemeanbusinesscoalition.org/companies/#country=Italy